Nulla- Parte II



“Uno dei pilastri del credo focolarino che ritengo essere più nocivo è una frase che la Lubich era solita ripetere spesso: “Tutto è vanità delle vanità, e tutto passa”, una frase del libro dell’Ecclesiaste nel Vecchio Testamento che può essere tradotta, in linguaggio più moderno, “tutto è senza senso”. Per lei infatti, la vita stessa è vana, niente ha importanza. In quest’ottica, la vita stessa è intesa come negativa ed è dunque necessario essere distaccati da tutto e da tutti. Una forma di negatività talmente elevata da schiacciare le personalità e la volontà di coloro che si avvicinano al movimento. Uno dei fattori che porta all’alto tasso di depressione e di mental breakdown tra gli adepti.” (testimonianza di Gordon Urquhart in Pinotti, Ferruccio. La setta divina: Il Movimento dei Focolari fra misticismo, abusi e potere, EDIZIONI PIEMME)

“Vanità delle vanità” è un tema che attraversa la cultura italiana, basti pensare al De comptemptu mundi (Disprezzo del mondo) di Innocenzo III, al “Di doman non c’è certezza” di Lorenzo il Magnifico, o al tema della fuga del tempo, che attraversa la cultura barocca. “Essere distaccati da tutto e da tutti” potrebbe far pensare al pensiero epicureo, o a quello stoicista, e a molte altre correnti filosofiche antiche. La vita è bella, però ogni tanto ci attraversa il pensiero che un giorno finirà, e si offusca il godimento; questo dovrebbe portarci a viverla con distacco, nel senso di ridimensionare i drammi, ma anche più intensamente: nell’umiltà e nella preghiera per i medievali, nella ricerca del piacere per gli uomini del Rinascimento, ispirati in questo dalla dottrina degli antichi.

Ma quello che Chiara intende dire, è diverso. Per capire il suo pensiero, mi è stato di grande aiuto un saggio di Emanuele Severino su Giacomo Leopardi: Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Bur. 
Giacomo Leopardi ha fatto un'esperienza diametralmente opposta a quella di Chiara Lubich. Come tutti sanno, era un ateo materialista, non credeva che la Natura fosse guidata dall'amore di un essere divino: veniamo dal nulla e andiamo verso il nulla, siamo solo una piccola particella di un eterno ciclo di creazione e distruzione.

Tutto è nulla perché tutto si annulla, e "dal nulla scaturiscono le cose che sono": "tutto", cioè tutti i "modi di essere" della natura. Le cose esistenti sono nulla perché il divenire appartiene alla loro essenza. (E. Severino, Ibid.) 

Nell'ottica focolarina Giacomo dovrebbe essere il più disperato degli uomini occidentali, persi nella loro mancanza di "senso". E' vero che a modo suo viveva le sue "notti", ma ecco il colpo di scena: 

E intende tener fermo che le cose esistenti, finché esistono, NON SONO COSE "DA NULLA". "Chi potrebbe chiamare un nulla" la natura?" Intende tener fermo che le cose esistenti sono NON NIENTE. 

Per Leopardi le cose non sono affatto nulla, ama la vita, ama la gente e ritiene che tutti gli uomini si dovrebbero unire ed amare tra loro, per fronteggiare la crudeltà dell'esistenza (v. La Ginestra). Chiara, invece, dopo avere innalzato l'Amore a cardine della sua spiritualità, arriva alla conclusione opposta.

Se su nel ciel si spengono le stelle, se ogni giorno muore, 
se l’onda in mar s’annulla e non riprende, 
è per la Tua gloria. 

Che il creato canta a Te: tutto sei! 
Ed in ogni cosa dice a sè: nulla son! 

E se il dolor consuma i nostri cuori, se l’agonia ci assale, 
contemplerem che nulla al mondo vale, solo la Tua gloria. 

Che il creato canta a Te: tutto sei! 
Ed in ogni cosa dice a sè! nulla son! 

Se in Te Creator che accendi in Ciel le stelle, 
in Te, splendore eterno, 
noi ci perdiamo, luce nella luce, 
nostra è la tua gloria.

(Canzone dei primi tempi. La melodia originale è il gospel Nobody Knows all the troubles I've seen)
La vita senza Dio è vana, negativa e senza importanza; anzi, Gordon Urquhart è stato fin troppo generoso: la vita di chi non segue Chiara fa schifo, è sbagliata, noiosa, inutile; e non è questione di brevità, farebbe ugualmente schifo anche se fosse infinita. Perché? Per permettere a Dio di risaltare meglio, si direbbe. Un Dio così narcisista da temere che le stelle oscurino il suo splendore, che ci sia qualcuno in giro per il Creato che osi starsene zitto e non partecipi al coretto che canta: Tutto sei!" per celebrarlo in eterno. Gli antichi Greci avrebbero detto che un Fato, un destino inspiegabile vuole la morte della stella: qui il motivo è chiarissimo, è la "gloria". Come una capofocolare invidiosa qualunque, Dio deve dominare e attirare su di sé tutto lo splendore dell'"Opera", distruggendo progressivamente l'universo, una volta che le varie parti hanno esaurito la loro funzione. 

Ma Chiara ha una soluzione: se si perderà in Lui, luce nella luce, avrà tutta la Sua gloria. Le stelle muoiono, ma lei sarà una star. 

Essendo vissuto a lungo in Italia, l'amico Gordon avrà sicuramente scoperto l'enorme paradosso della nostra cultura: un paese in grado di produrre un Giacomo Leopardi e, per quanto discussa e controversa, una Chiara Lubich, è al  tempo stesso capace di produrre anche lo squallore più agghiacciante, la meschinità, la piccolezza morale, la farsa ridicola, la disonestà intellettuale più assoluta. Sarà colpa del nichilismo? 

Raccontiamo un'altra storia, meno articolata di quella di Dolores, ma altrettanto significativa.

STORIA DEL BOMBARDAMENTO DI SANTA CHIARA: IN ITALIA VA SEMPRE TUTTO A PUTTANE


La mattina del 14 maggio '44 Chiara cerca il fratello Gino, studente di medicina [all’ospedale Santa Chiara di Trento], che fra le rovine e i morti le sussurra: "Vedi? Tutto è vanità". (I luoghi di Chiara Lubich, dal sito del Comune di Trento https://www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Cultura-e-turismo/Visitare/Altri-siti-di-interesse-turistico/I-luoghi-di-Chiara-Lubich )

Oggi l'ospedale Santa Chiara è un centro culturale molto vivo. La città di Trento fu bombardata tra il 1943 e il 1945 dagli Alleati perché ritenuta uno snodo ferroviario fondamentale, sulla strada del Brennero. L'importante per "Pippo" (chissà perché, l'aereo inglese che sganciava bombe sulle città del Nordest si chiamava sempre così) era centrare degli obiettivi anche nel raggio di km di distanza dal punto strategico, e così furono rasi al suolo interi quartieri.
Chiara ha pronunciato il suo voto privato da un anno e mezzo, ma è solo in questa occasione che si separa dalla famiglia, per andare a vivere nel focolare con le prime compagne. Per quale motivo proprio adesso? Anche questo è un punto che meriterebbe di essere approfondito. I genitori e le sorelle sono sfollati, come buona parte dei trentini, lei invece rimane in città e, come prima cosa, va a trovare il fratello Gino, che si trova nell'Ospedale Santa Chiara in qualità di assistente. E qui assiste al terrificante spettacolo di morte, che la segnerà per tutta la vita, imprimendole per sempre la lezione della "vanità". 

Peccato che non sia così. Gino ha provveduto a raccontarci la sua versione della storia, fornendo qualche particolare molto interessante. 


E arriviamo al 2 settembre 1943, quando ci fu il primo terribile bombardamento a Trento…

«Sì, e a piazza Santa Maria maggiore colpirono la casa dove eravamo nati: arrivai tra i primi con un camioncino a cercar feriti. Prima non avevano mai bombardato la città, in quanto era la ferrovia ad esser presa di mira. [Il bombardamento a cui fa riferimento Gino è noto anche come "Strage della Portela" e provocò più di 200 morti; quello a cui stiamo facendo riferimento, 14 maggio di un anno dopo, ne provocò almeno 124 N.d.A.). 

Ogni volta che bombardavano, Chiara mi veniva a cercare. E anche quel 13 maggio del 1944, quando tra l’altro venne colpito l’ospedale Santa Chiara. Lì io, con un altro studente di medicina, un tedesco, ero andato sulla torretta a vedere l’arrivo degli aerei. Ci fu uno scrollone e ci trovammo giù per le scale tutte rovinate, illesi sopra dei materassi. Quando ci rialzammo, trovammo un flagello spaventoso e da tutte le parti morti da raccogliere, feriti da soccorrere».

«Ad un certo punto mi sentii battere sulla spalla: era Chiara, venuta con una sua amica. Per la gioia di vedermi incolume, mi abbracciò nonostante fossi tutto sporco di sangue. Quando accennai al reparto delle malattie veneree, dove erano ricoverate le prostitute, disse: «Portami a vedere». L’impressione fu tremenda: erano l’una sull’altra, immerse in un lago di sangue, fotografate nella loro condizione: ben vestite e imbellettate com’erano, sembravano bambole di cera dipinta, dei fantocci, non dei morti. E in quel frangente lei mi aiutò a tirar via quei cadaveri, che a differenza degli altri non erano bianchi ma avevano una maschera di trucco».  (Davide Lajolo, Chiara mia sorella. Intervista a Gino Lubich) 

Proprio mentre sto scrivendo, bombardamenti insensati massacrano centinaia di esseri umani senza alcuna pietà. E, ogni volta che rileggo queste righe, non riesco a credere che Gino abbia potuto scrivere una cosa così vomitevole. Tra sangue e macerie, non si sa come, solo le prostitute si distinguono da tutti gli altri cadaveri, perché hanno il viso coperto, alterato, dal "belletto". Una maschera, il simbolo delle loro falsità e degli allettamenti con cui credevano di ingannare gli uomini ed allontanarli dalla retta via. Le prostitute non sono mescolate con tutti gli altri malati; le hanno relegate in un reparto speciale per le "malattie veneree", nel quale se ne stanno ancora "ben vestite" (anche questo particolare strano, non si saranno messe in camicia da notte?), e naturalmente nessuno è sfiorato dal pensiero che un reparto simile possa ospitare anche dei rispettabili cristiani trentini, che hanno contratto una malattia sessualmente trasmissibile per svariati motivi. 

Non è il bombardamento, non è la morte, non sono gli Alleati che per liberare il mondo dal Nazismo devono provocare migliaia di morti innocenti; sono le "memorie delle sue puttane tristi" che fanno dire a Gino "Tutto è vanità". E' il belletto, che le rende "dei fantocci": non sono persone, non ne hanno diritto a causa della loro professione. E tanto per rincarare la dose, in un'altra versione dell'episodio Chiara racconta che, in tutto il reparto, si è salvata solamente una suora che recitava il rosario. La vergine, l'unica meritevole di vivere. 

A proposito di Chiara: il modo in cui compare sulla scena, picchiettando su una spalla di Gino, il modo in cui l'abbraccia, senza turbarsi per il sangue: sembrerebbe tutt'altro che abbattuta, addirittura sfrontata. E' la reazione vitale al fatto di essere sopravvissuta. E perché chiede a Gino di portarla a vedere il reparto delle malattie veneree? Probabilmente perché sanno che è quello in cui ci sono state più vittime. Sembrerebbe che Gino si sia spostato da quel reparto, ma che ci ritorni proprio per soddisfare il desiderio di Chiara. 

Chiara vuole vedere le prostitute: è come una sfida con la morte, con il grande tabù del sesso, che la perseguiterà per tutta la vita. Eros e thanatos, diremmo noi, Chiara inizia la sua nuova vita superando una sorta di rito di iniziazione: sembra che abbia sfidato la morte e il sesso e che li abbia vinti.  Ed infatti inaugura la sua vita di focolare, in piazza Cappuccini, con il proposito di tornare negli ambienti disagiati, di consolare il dolore di tutti, di farsi carico addirittura dell'intera  sofferenza umana.

Ma l'ombra del nichilismo con cui Gino ha giudicato le prostitute glielo impedirà. Chiara non ha superato affatto né la morte, né l'eros, e questo segnerà profondamente la fondazione del suo Movimento.  


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