Manipolazione- Parte IV





Il mito che il Focolare ama la riservatezza è stato sepolto una volta per tutte sabato 5 giugno 1993, quando organizzò, con l’aiuto dei media, la sua più grande “allegra riunione” mai messa in scena: il Family Fest (festa della famiglia). Un pubblico di 14.000 persone riempì il Palaeur ma, in uno dei più grandi collegamenti via satellite mai tentati, lo spettacolo raggiunse un pubblico televisivo internazionale stimato in quasi settecento milioni di visitatori. Ancora una volta la tecnologia fu fornita dalla Rai e al movimento non costò una lira. L’operazione fu lanciata con gli auspici del movimento di massa Famiglie Nuove, ma ha attinto alle intere forze dell’impero mondiale del Focolare. Fu una dimostrazione impressionante di ciò che possono conseguire a livello internazionale queste efficientissime organizzazioni con le formidabili risorse finanziarie e di manodopera che essi hanno a disposizione (…) A differenza delle più importanti manifestazioni di massa del passato, il Family Fest non ha parlato solamente per voce propria e neanche per quella del Papa, ma è stato pubblicizzato come la “manifestazione preparatoria” ufficiale dell’Anno della famiglia delle Nazioni Unite, il 1994, e, infatti, una delle “star” più illustri dello spettacolo fu Henry J. Sokalski, il coordinatore delle Nazioni unite per l’Anno della famiglia. L’imponente schieramento di personalità di rilievo che prese parte alla manifestazione comprendeva anche il Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro, Egon Klepsch, presidente del Parlamento europeo e Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli. Anche Cory Aquino, prima presidentessa delle Filippine, mandò un messaggio registrato, ma in cima al cartellone c’era papa Giovanni Paolo II, che tenne il suo discorso con un collegamento dal vivo attentamente allestito dal suo ufficio in Vaticano. Per dare un sapore familiare a tutto ciò, si vedevano bambini che giocavano sul pavimento a mosaico della casa da scapolo del Pontefice, una situazione non quotidiana, come si può immaginare; questo aggiunse una nota surreale all’intervento, sebbene senza dubbio tutto ciò fosse stato voluto dagli organizzatori come giusto rimando ai valori della famiglia. (Gordon Urquhart, Le armate del papa, Ponte alle Grazie)

Purtroppo questo libro è introvabile nella traduzione italiana (chissà come mai) e la cosa contribuisce ad alimentarne la leggenda nera, tra i membri del Movimento. 

I bambini sul pavimento del Papa sono sicuramente una mossa da grandi comunicatori, e di fatto gli eventi come il Familyfest hanno una regia, da parte di un focolarino che lavora in Rai. Siamo nella piena fase “Gridare dai tetti”, e oramai il Focolare gode di tutti gli agganci.
Il Movimento è in mondovisione, ha divulgato contenuti che fa sembrare universali ma, in realtà, non lo sono affatto (Urquhart sottolinea come la visione della famiglia sia molto fondamentalista, in dissonanza con le politiche dell’Onu). E vi risulta che, finita la bella trasmissione, tutto il mondo sia diventato focolarino? Certo, molti sono entrati in contatto per la prima volta, ma, dopo qualche giorno, persino i membri del Movimento, eccitati per l’incredibile evento, sono tornati alla vita normale. E la collaborazione con l’Onu? Quali importanti frutti ha portato? Verrebbe da dire nessuno, anche se, di fatto, più sotterranea che pubblica. 

Decenni più tardi, il Movimento avrebbe ritrovato e di nuovo sottolineato anche strutturalmente la concretezza delle azioni, ma in quei “primi tempi” tutto era focalizzato sul divulgare questo nuovo approccio al cristianesimo, e parallelamente, a proteggerlo dal perdurante oltranzismo di buona parte delle gerarchie ecclesiastiche. Da qui anche una progressiva circospezione nelle uscite pubbliche, un gergo molto autoreferenziale, una prudenza quasi carbonara; e se a questo aggiungiamo l’appassionato radicalismo dell’imprinting focolarino, è facile intuire perché molti – fuori e soprattutto dentro la Chiesa – lo considerassero alla stregua di una pericolosa setta. Le incomprensioni e le ostruzioni causarono all’ancor giovane Chiara una sofferenza che la portò più volte fin sulla soglia di una prostrazione incurabile (e le cui conseguenze ne minarono il fisico per sempre), ma questo era il contesto che fece da sfondo ai primi vent’anni del Movimento dei Focolari, influenzandone anche successivamente lo stile e le problematiche. Ma d’altro canto Chiara poteva contare su un manipolo di persone – giovani o meno che fossero – che le offrivano una fiducia incondizionata, sempre pronte a buttarsi nel fuoco per lei sacrificando ogni aspetto della propria vita privata per proteggere e far germogliare quel piccolo seme che era il Movimento. Si facevano pazzie: c’era chi – come Marco Tecilla, il primo focolarino – lasciava l’Italia da un giorno all’altro per “portare l’Ideale” in America Latina (e senza conoscere una sola parola di spagnolo), chi – come mio padre e moltissimi altri – spendeva ogni domenica fin dall’alba a vendere copie della neonata rivista «Città Nuova» davanti alle chiese, chi lasciava le proprie case per passare le serate in focolare semplicemente a lavare i piatti o a fare il bucato, chi doveva affrontare durissime ostruzioni e incomprensioni in famiglia. Erano tempi duri ed esaltanti insieme: in molti focolari c’era appena di che sfamarsi e si viveva di provvidenza; tutto era posposto a ciò che Chiara chiedeva, senza neppure sognarsi di porre obiezioni. Oggi mi chiedo se quel radicalismo militante e quella mancanza di dialettica interna fu un errore o piuttosto l’unico modo per far sopravvivere un fragile alberello nel pieno di un uragano. Certo è che quell’estremismo spirituale generò drammi e meraviglie, lacrime e piccoli miracoli, e passò quasi geneticamente dalla prima alla seconda generazione focolarina. Ma nessuno era mai obbligato o forzato ad alcunché: semplicemente sentiva che era Dio tramite Chiara a chiedergli quelle follie, dunque non erano sacrifici, ma un naturale aderire a quello che ciascuno pensava essere la Sua volontà; chi non se la sentiva – e ce ne furono, ovviamente – semplicemente se ne andava per la propria strada. (Franz Coriasco, Generazione nuova , Città Nuova)

La scrittura di Coriasco esprime in modo emblematico il bivio a cui si trova il Movimento di oggi: riconoscere l'abuso e condannarlo apertamente, oppure continuare a corteggiarlo, denominandolo "follie", "radicalismo dell'imprinting focolarino", "estremismo spirituale". Ciò che colpisce, in ogni caso, è come siano escluse categoricamente due possibilità: che chi osava opporsi al Movimento avesse delle ragioni (tralasciamo il Sant'Uffizio: nemmeno i famigliari), e, soprattutto, che l'estremismo spirituale possa avere fatto del male seriamente a qualcuno. Non intendo ai focolarini che seguivano Chiara: lasciamo che credano nella "favola bella, che ieri li illuse, che oggi li illude", ovvero di avere fatto tutto di loro spontanea volontà e di essere sempre stati liberi di andarsene per la propria strada. Ovvio che non è così, e ne abbiamo mille testimonianze. Ma mi riferisco alla possibilità che abbiano ferito le persone intorno a loro, anziché elevarle, o per lo meno aiutarle: quelle "durissime ostruzioni" in famiglia, ad esempio, non potrebbero essere raccontate anche dal punto di vista degli altri, dei congiunti che si vedevano sottrarre il proprio caro da una setta? E' talmente forte il compiacimento che trasuda dalle righe di Coriasco per la propria follia e, soprattutto, per la sofferenza vissuta, da far intendere che l'altro, nella visione dei Focolari, di fatto non esiste. Qualunque cosa abbiano fatto i focolarini, buona o cattiva che fosse, ne è valsa la pena, perché a loro il gioco è piaciuto. Hanno guidato a fari spenti nella notte, investendo qualcuno? Beh, è stato magnifico farlo per Chiara.

E lei, la fragile fanciulla viziata da tutti, circondata da un manipolo di fedelissimi che si sentono votati a proteggerla dal mondo? Dalle testimonianze che circolano sulla Chiara privata si direbbe che ritenga tutto ciò un suo diritto, che le deriva dall'essere la tenutaria del carisma. Il più grande dei carismi.

Del resto, mentre i focolarini continuano a pensare che si ammali per colpa della Chiesa, sentite come si esprime:

Ho osservato che la Tua tattica è unica, ma non monotona, forse perché il Tuo agire sei Tu, Signore. E Tu sei l’amore sempre nuovo. E la Tua tattica è questa: quando le anime s’accontentano di ombre – e non dico di ombre mortali – quando cioè la vita è per Te, ma non è Te, Tu offri spesso un dolore. Allora l’anima torna a Te e dice il suo sì. Ma alle volte quel sì è profumato d’un senso di gratitudine profonda e immerso in una singolare preghiera: «Sì, Signore. Incontrando la croce, su essa Ti trovo. Grazie di avermi richiamato a Te, e non soltanto a ciò che Ti riguarda, perché più di ogni cosa mi attrae la solitudine con Te, quella stessa che affronterò per forza il giorno dell’incontro, se non l’avrò eletta ora con l’amore. E Tu, che tutto puoi, ottienimi in nome Tuo di conseguire questo continuo colloquio fra Te in me con Te, dove avvenimenti, uomini e cose altro non sono che combustibile al nostro puro amore». (Lubich Chiara, Meditazioni, Città Nuova)

Il Dio di Chiara si conferma il fidanzato narcisista da manuale. Quando le anime non dedicano a Lui tutte le attenzioni, la sua tattica (si badi bene il termine) consiste nel procurare il dolore deliberatamente, in modo da dare alla vittima un avvertimento perché ritorni subito all’ovile. Sarà la tattica che usa Lui, o piuttosto quella che usa lei? Di sicuro funziona, ci cascano tutti. Nemmeno nel riferire gli abusi sono in grado di riconoscere l'abuso.

La frase finale è bellissima, solo che me la sarei aspettata da una coppia di criminali tipo Bonnie e Clyde: “Avvenimenti, uomini e cose altro non sono che combustibile al nostro puro amore.” Potremmo anche farli saltare in aria, Io e Te, Tu e Io.

Devo dire che proprio non lo so
se riuscirò a gettar via quest'abito
per poi fondermi nel grande Regno di Dio
come i passeri avere il pane da Lui.

Ma perché? Ma perché? Dove vedi la difficoltà?
Come se, come se non avessi piena libertà.
Cosa c'è, cosa c'è che lasciare perdere non puoi?
Tutto qua, tutto qua, di più semplice da far non c'è. 

Devo dire che io non son più io
Da quando so qual è la sola vera via
ma chissà perché non so decidermi
c'è qualcosa che non mi fa muovere...

Cosa fai? Cosa fai? Corri sempre dietro ai sogni tuoi,
Tu non hai, tu non hai l'allegrezza degli uccelli in ciel...
                                             (Gen Sprint, 1981)

Da notare che le due voci si sovrappongono l'una all'altra, nella seconda strofa della canzone, quasi a lottare per coprirsi a vicenda. 

Che dire, cari lettori? Ce l'avete anche voi un piccolo elenco di cose con cui rispondere alla domanda "Cosa c'è che lasciare perdere non puoi"? 
La propria identità, l'intelligenza, la dignità umana, la propria intimità... Tutto ciò che un movimento a deriva settaria non sa rispettare.

Quando si arriva a pensare "Io non son più io", è proprio il caso di scappare a gambe levate. 




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