Cantare di Chiara, Manipolazione- Parte III






Nasceva l’idea di un giornale. Come vedendolo già realizzato, Chiara ne dà l’annuncio il 4 novembre 1955, soffermandosi anche sugli argomenti da trattare: l’economia, l’arte, la filosofia, la natura, la medicina, le scienze, la politica, la comunicazione, la religione.
Il 14 luglio segna la nascita del primo numero del giornale, poche copie stampate a ciclostile. Il nome della testata è Città Nuova. Nell’articolo di presentazione (anonimo, ma in realtà di Chiara) si specifica lo scopo di questo foglio: rendere partecipi tutti i “mariapoliti”, in tempo reale, della vita evangelica che ferve nei vari punti della valle di Primiero, ma anche in altre città italiane ed estere, dovunque si trovi chi ha fatto proprio l’ideale di Cristo: l’unità. (...) Che non si tratti di un fuoco di paglia lo prova l’invito fatto da Chiara e dal suo più stretto collaboratore, don Pasquale Foresi, ai focolarini presenti, prima di lasciare i luoghi della Mariapoli, a cimentarsi in un articolo per individuare i potenziali “redattori”. Si riveleranno più dotati Guglielmo Boselli, Antonio Petrilli e Doriana Zamboni: il primo sarà uno dei futuri direttori della rivista. Del neonato giornale attirano i contenuti esprimenti freschezza evangelica: specie gli editoriali di Chiara (contrassegnati da tre stelline) per l’interpretazione nuova degli avvenimenti e le testimonianze di vita vissuta (...) Città Nuova si diffonde col sostegno dei lettori che, proponendola a parenti e amici, garantiscono il rientro economico. Dagli effetti in chi la riceve si comprende come ci sia l’esigenza di raggiungere una cerchia più ampia di quella del Movimento. Chiara, con don Foresi, segue ogni fase della crescita, indirizza, incoraggia, dà consigli utili perché la rivista corrisponda al suo disegno originario: far arrivare la vita nata dal carisma, aprendosi anche alla realtà ecclesiale e alla società civile. A dire il vero, in quanto espressione di un’opera non ancora approvata dalla Chiesa, Città Nuova non manca di suscitare perplessità in qualcuno. Giungerà così a proposito, il 18 dicembre 1958, una lettera elogiativa del vescovo di Trento Carlo De Ferrari. Finché il 21 marzo 1959 la direzione della rivista – tradotta ora anche in altre lingue – verrà affidata a Igino Giordani, che la dirigerà fino alla morte nel 1980. (Oreste Paliotti, Chiara Lubich: nascerà Città Nuova, Città Nuova 8 agosto 2019)


Che i nostri propagandisti vogliano tenere in contatto in ogni modo le migliaia di partecipanti alla Mariapoli, è comprensibile: iniziano ad intuire che il Movimento è qualcosa che si avvicina ad un "fenomeno di massa". Ma Chiara, come sempre, non può accontentarsi, il notiziario, la raccolta delle sue riflessioni spirituali non è sufficiente: nascerà un giornale, naturalmente annunciato da lei, che puntualizza anche quali saranno gli argomenti da trattare. Arte, economia, filosofia, scienze... Generalmente si dice che i cattolici sono troppo ossessionati dal "dover essere"; non è il caso di Chiara, lei è continuamente spronata dal "voler essere": onnivora, onnicomprensiva, pretende di fondare una rivista culturale, per trattare di qualunque argomento. Non importa se il rischio è di essere superficiali, dato che tra i focolarini ancora scarseggiano gli esperti; probabilmente in questa fase Chiara non intende ancora illuminare le discipline con il carisma, ma semplicemente accattivarsi i lettori trattando di argomenti che per loro sono alla moda. A dire la verità, mancano persino coloro che sono in grado di scrivere, a parte naturalmente la leader, che significativamente inizia a scrivere in anonimato o con pseudonimi. Il motivo ha a che fare forse con la mancata approvazione da parte della Chiesa, e con la richiesta alla Lubich di farsi da parte? Se è per questo, si ripete il solito copione, ed il giornale viene protetto da Giordani e dall'arcivescovo De Ferrari; per quanto riguarda i giornalisti, è Don Foresi ad effettuare addirittura una selezione con tanto di prova concorsuale: non si sa con quale qualifica e, naturalmente, includendo persone "catturate" in Mariapoli. Il vero requisito per scrivere su "Città Nuova" è chiarissimo; sarà la fortuna, o piuttosto la provvidenza del buon Gesù, a far capitare tra gli scriventi delle buone penne, come il succitato conte Boselli e Spartaco Lucarini.


Quasi tutti erano occupati anche su altri fronti, ad incominciare dalle loro professioni. C’era bisogno di qualcun altro che scrivesse. Così, l’avvocato torinese Vittorio Sabbione prese a tal punto a cuore la cosa che chiunque cadesse nella sua orbita suadente veniva ineluttabilmente attivato a scrivere. Data però l’assoluta incapacità a scrivere – riferì Gino Lubich -, gli articoli di questi collaboratori erano di solito belle riflessioni, profonde considerazioni, solide argomentazioni, talvolta persino raffinate omelie; eran tutto quello che volete, ma non erano articoli. Con tanta buona volontà, al massimo li si sarebbe potuti qualificare articoli di fondo. Ma si poteva fare un giornale tutto di articoli di fondo? Chiunque avesse avuto un’infarinatura in tema di mass-media non avrebbe scommesso una lira sul futuro di Città nuova. Invece, anche il navigato Gino dovette ricredersi. Sorprendentemente e a scorno di chi si riteneva esperto, la tiratura aumentava ad ogni numero e dai lettori piovevano lettere di entusiasmo. Commentava: Evidentemente in quelle riflessioni, argomentazioni, considerazioni, a prescindere dalla forma impropria, era contenuto un messaggio avvincente di cui tanti da tempo sentivano il bisogno. (Paolo Loriga, Oggi, cinquant'anni fa, Città Nuova 9 luglio 2006)


Il più navigato nell'ambiente è Gino Lubich, che non sapevamo nemmeno essere giornalista; interessante che Giordani, pur assumendo la direzione, non si esponga troppo. Può funzionare un giornale dove tutti hanno la velleità di scrivere "articoli di fondo", articoli di opinione, privilegio riservato al direttore, ovvero a sua sorella Chiara? Subito arriva a smentire Gino il grande argomento dei Focolarini: le cifre esorbitanti, il giornale moltiplica le sue copie a velocità incredibile. Il "messaggio avvincente" che tutti nel giornale predicano, anziché raccontare qualcosa di reale, è la fascinazione del proselitismo: i lettori ritrovano in Città Nuova le atmosfere della Mariapoli, tanto più che il veicolo di diffusione della rivista è lo stesso degli incontri, i membri del Movimento che si fanno abbonatori. Dedicano infinite energie a far conoscere il giornale, rigorosamente nell'ambito dei circoli chiusi dei Focolarini. Avete mai visto Città Nuova esposto in un'edicola? Il lettore, spesso un parente o un amico, è un potenziale adepto.


È trascorso un anno da quando in «Mariapoli», con un vecchio ciclostile ad alcool, tirammo 70 copie di questo giornale. […] Pochi giorni dopo preparammo un nuovo numero: le copie erano 120. Quei fogli passarono di mano in mano e vennero letti con tanta avidità che le richieste aumentarono. Così le copie divennero 150, poi 180, poi […] 300. In settembre tornammo a Roma e si volle fare un numero speciale per tutti coloro che erano stati in Mariapoli. Scoprimmo allora che esistevano i ciclostili a inchiostro in grado di tirare anche migliaia di copie, e così partirono 900 giornaletti. Incominciarono a piovere lettere da ogni parte, piene di gioia e di calore: Ci supplicarono di continuare. E così di numero in numero, la tiratura aumentò: 1500, 2000, 3000, 4000 copie. Il ciclostile elettrico sbuffava, si riscaldava, si guastava, ma sembrava anch’esso felice di lavorare senza soste. Il lavoro però era estenuante: […] ci voleva una settimana per tirare tutte le pagine. Quindi decine di persone raccolte a Roma incominciarono […] chi a impaginare, chi a mettere le graffette ad ogni copia, chi a piegare il giornaletto, chi a fare gli indirizzi e chi a spedirlo. Un amico, al quale un giorno raccontammo della nostra attività, ci disse che… esisteva la stampa, che era stata inventata apposta alcuni secoli prima per evitare tutta quella fatica che noi, nell’anno di grazia 1957, stavamo facendo. Ma non volevamo cedere: ci sembrava di togliere al giornaletto quella freschezza e quella familiarità che lo rendevano tanto attraente. Tuttavia, un certo giorno ci dovemmo arrendere e incominciammo a girare per le tipografie di Roma […]. E la diffusione, contro tutte le nostre paure, aumentò […]. Poi sono iniziate le edizioni in lingue straniere: in francese e in tedesco. (Guglielmo Boselli in Chiara Lubich: nascerà Città Nuova, Ibid.)

Un gruppo di persone medita di conquistare il mondo intero, ma non ha nemmeno il coraggio di andare in tipografia. Fissazioni di personalità poco equilibrate come Pasquale Foresi? Gelosia estrema dei contenuti "esoterici"? O piuttosto il gusto di mettere sotto a "lavorare come facchini, pregare come angeli" le decine di persone arruolate da Chiara tra i focolarini consacrati e sposati, per seguire il ciclostile? Quel lavoro estenuante è già una tipica attività del Movimento, non particolarmente utile in sé, ma finalizzata a "creare famiglia" tra i suoi esecutori, e ad avvolgerli in un loop di attivismo che fa perdere il senso della realtà. E lo stesso può dirsi delle migliaia di "abbonatori".

Le persone vengono sottomesse, imparano ad accogliere la parola e la volontà dei loro superiori come parola e volontà di Dio sempre, in ogni caso, senza eccezioni. Fanno tutto quello che si chiede loro, anche se si chiede sempre di più, fino a sfinirle e a svuotarle di energie fisiche, psichiche e spirituali. Si premia (poco) la loro obbedienza e si punisce (molto) ogni esitazione e perplessità, mantenendole in una condizione di perpetua incertezza, di sfiducia nel proprio valore, di timore di sbagliare. (G. Ronzoni, L'abuso spirituale. Riconoscerlo per prevenirlo, Edizioni Messaggero di Padova)


Prepariamoci, il mondo è scosso dalla Rivoluzione... LOVE LOVE LOVE!!



Nell’estate 1965 alla Fiera di Milano allestimmo uno stand per Città Nuova. Fu l’occasione per entrare nel clima culturale e giovanile di quegli anni turbolenti. Vennero a visitarci in tanti, tra cui alcuni del clan di Celentano e del complesso dei Dick Dick. Fu fondamentale per cogliere l’aria che tirava a livello giovanile e insieme a Pino Quartana ci buttammo nella mischia. Ricordo le serate al Piper, dove si esibivano Patty Pravo, Lucio Dalla e Jimi Hendrix, e le domeniche allo stadio San Siro. Nell’ottobre del 1966 in focolare a Monaco di Baviera vidi Chiara che indossava uno splendido cappotto color ciclamino, regalatole da un’amica, Elda Pardi. In quel periodo avevo creato un rapporto profondo con tanti giovani, che però non avevano interesse a forme associative di tipo classico. Per cui anche il Movimento, coi suoi incontri, canzoni e linguaggio, risultava “stretto”, quando non soffocante. Eppure quei ragazzi e ragazze erano attratti dal carisma di Chiara. Pensammo che per cambiare il mondo avremmo “solo” dovuto fare come lei: vivere il Vangelo con radicalità. I giovani si entusiasmarono. A causa di quel cappotto lanciammo la “linea ciclamino”! Volevamo confezionare foulard di quel colore ma, nonostante ripetuti tentativi, non eravamo soddisfatti del risultato. Alla fine telefonai a Chiara (non l’avevo mai fatto prima), e lei risolse il problema tagliando un bordo del risvolto interno del suo cappotto e mandandomelo! Così abbiamo confezionato i foulard del colore esatto. Era una questione simbolica, ma essenziale. Alla successiva Mariapoli di Varese, nel 1967, improvvisamente centinaia di ragazzi e giovani con i foulard ciclamino invasero la sala e si precipitarono sul palco urlando: “Questa è una occupazione!”. Provate ad immaginare la scena, nel contesto di quegli anni in cui iniziavano le occupazioni di fabbriche e scuole. Fu così che, in autunno, viste le esperienze che nascevano da tante parti, Chiara decise che era arrivato il momento di dare spazio ai giovani nel Movimento. Già qualche mese prima aveva regalato le famose batterie ai complessi Gen Rosso e Gen Verde, mentre era cominciata la pubblicazione del giornale Gen. (intervista a Luigino de Zottis in Chiara Lubich, una rivoluzione alternativa, Antonio Coccoluto, Città Nuova 07 dicembre 2019).

Inizia la contestazione giovanile, ma i Focolarini sono talmente fuori dal mondo che hanno bisogno di andare a vendere il loro giornale in uno stand, perché la questione incominci ad esistere anche per loro. Ci crediamo? In questa testimonianza, Luigino de Zottis dimostra gli elementi più classici della comunicazione manipolatoria del Movimento. Innanzitutto si contraddice: prima afferma che giovani non sono interessati al Movimento, poi invece dichiara “Eppure quei ragazzi e ragazze erano attratti dal carisma di Chiara”, delle due quale? Che cosa li attrae, se, non appena mettono piede ad un incontro, sentono la voglia di abbandonare la sala, cos’avranno capito del suo carisma? Chi poi conosce la storia del Movimento ha qualcosa da dire sul prima, ed anche sul dopo. Partiamo dal dopo: i Focolari continueranno ad offrire ai giovani esattamente incontri, canti, linguaggio dello stesso tipo. E veniamo a quanto lo stesso Coccoluto racconta all’inizio del suo articolo. C’erano dei “popetti” (!) agli incontri, i figli dei membri del Movimento, e la loro gestione sta rivelandosi un problema. Sono loro i primi da sistemare, i veri iniziatori del movimento gen, a cui infilare i fazzolettini con il colore del cappotto di Chiara.

Ma poi ci sono le persone incontrate da Luigino, subito targetizzate come "i giovani": sono ostici, alieni appartenenti ad un mondo diverso, ma indubbiamente interessanti. Da Lotta Continua alle Brigate Rosse, da Ordine Nuovo ai Nar, su quei giovani potrebbe fare presa chiunque, persino Charles Manson, se ci spingiamo Oltreoceano. Meglio che se ne occupi Chiara, piuttosto, ma la sua predicazione da mistica trentina, uscita dalle mura parrocchiali della Sala Massaia, potrebbe ritorcersi contro lei stessa. Ecco allora che, come un camaleonte, Chiara saprà rinnovarsi, dando vita ad una nuova generazione.


Il Vangelo – la concretezza delle sue semplici frasi, le sue regole e le sue logiche – sono l’unica vera bussola che fin dalla sua nascita ha orientato il procedere del Movimento Gen, almeno a livello propositivo. Un baricentro ancora valido o comunque affascinante per un gran numero di esseri umani; certo molto più delle istituzioni religiose – di qualunque religione, beninteso – degli apparati politici, di gran parte delle cosiddette scuole di pensiero. (Coriasco, Franz, Generazione nuova, Città Nuova)

“Vivere il Vangelo con radicalità”: termine squisitamente lubichiano, che significa più o meno “applicarlo alla lettera”. “SOLO vivere il Vangelo”: roba da niente! Il Vangelo è semplicissimo, è una raccolta di aforismi da citare a memoria nelle giuste occasioni, come il Libretto Rosso di Mao. Questa semplicità nel Vangelo la vedranno solo "i giovani", perché è Chiara che la farà vedere. Le istituzioni, la politica, la filosofia… Tutta roba troppo impegnativa, abbiamo di fronte persone che amano le emozioni forti, sì, ma senza la complicazione. L’amplificazione di parole come “radicalità”, “rivoluzione”, dà loro la sensazione di essere impegnati al massimo, anche se dietro non nascondono nulla di preciso.


Come spesso fanno i leader, quando ritengono di avere il controllo, Chiara può addirittura permettersi di ostentare una sua contraddizione, sbattendola sotto gli occhi di tutti, senza che se ne accorgano. È molto vanitosa, ama i begli abiti e le pettinature eleganti, ama vivere nella comodità. Come molti altri, finirà anche lei per farsi costruire lussuose dimore dai suoi seguaci. Il fazzoletto color ciclamino non è ancora associato ad un’idea, come sarà per i “sette colori dell’Arcobaleno”: è il colore del SUO fazzoletto, arriverà addirittura ad inviarne un frammento a Luigino: un feticcio. Quei giovani saliti sul palco seguono LEI, non il Vangelo, sono già i suoi fan, i suoi adoratori, in un culto della personalità che, però, non è promosso dai giovani stessi, ma da un focolarino della vecchia generazione, la quale è già plagiata dal culto della fondatrice. E che la fondatrice stessa provvederà, con scarsa riconoscenza, a far intendere come superata, ormai antidiluviana, in confronto alle energie scalpitanti dei nuovi arrivati.

Concluderò ora, scusandomi per la lunghezza, con alcuni testi programmatici nei quali Chiara enuncia la sua "ideologia dell'Ideale" negli anni Settanta, e gli scopi del Movimento Ge(nerazione) N(uova). Nuove "Giovinezze a Dio donate", ma con ben altri toni, perché, stavolta, il Movimento Gen non fa incetta di consacrati. E' un movimento senza una precisa "vocazione".


Quest’anno, attraverso più conversazioni, ve ne consegnerò un pezzo, cui potremo dare come titolo: L’arma della nostra rivoluzione. Cercherò di consegnarvi quest’arma meglio che potrò, perché la facciate subito vostra, la brandiate come si fa, appunto, con uno strumento di lotta, e possiate incominciare a usarla sin da questo congresso, cosicché esso possa risultare quasi un periodo di manovre per la battaglia che poi continuerà. (...) «Padre, che tutti siano uno». Sì: «Che tutti siano uno». Ecco il grande, divino, slogan della nostra rivoluzione che, uscito dalle labbra di Cristo in quel solenne momento, riecheggia anche oggi sotto il potente soffio dello Spirito Santo in varie maniere, in diversi punti del globo: dalla cattedra di Pietro, dall’assemblea conciliare, dal dilagante movimento ecumenico, a migliaia e migliaia di cuori della prima, seconda e terza generazione del nostro Movimento. E «che tutti siano uno», motto dei gen, è scritto appunto su quella simbolica bandiera che tutto il Movimento innalza. Esso è la tensione, l’aspirazione, il programma che il Movimento gen sprigiona dal suo seno. «Che tutti siano uno» è stato il segnale di partenza che ha dato il via alla nostra rivoluzione cinque anni fa. Ricordate? «Giovani di tutto il mondo unitevi» è stato il primo grido, il primo vagito del Movimento gen nascente. Ma sin d’allora, e soprattutto dal ’68, i gen non si nascosero che quella meta si poteva raggiungere con un unico mezzo; che quella vittoria poteva un giorno ottenersi con un’unica arma. Ed ecco che, dietro la bandiera che portava quel motto, stava scritta una frase, forse per i più misteriosa ed oscura. Ora, oggi, in questi giorni, vorremmo che quella frase prendesse tutto il risalto, svelasse tutta la sua potenza. Se Costantino credette di vedere in cielo una croce e di leggervi: «In questo segno vincerai», i gen sanno che con un solo mezzo vinceranno, questo mezzo si chiama «Gesù abbandonato», e cioè Gesù in croce agonizzante che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». (L'uomo mondo, discorso di Chiara Lubich letto da Giuseppe Maria Zanghì al Congresso Gen del 1972)


Com'è cambiato il lessico di Chiara! "Rivoluzione", "lotta", "motto", "vincere"; simboli che si accavallano, a cominciare dalla bandiera, davvero una delle invenzioni geniali della Lubich. Come i vessilli guerreschi di Costantino, reca due frasi, i due lati della medaglia. Da un lato la preghiera di Cristo al Padre, ridotta a slogan quasi politico (e Chiara verrà molto criticata, per essersi impadronita in questo modo del Testamento di Gesù), dall'altra la "sua" intuizione, la novità da lei portata nella Chiesa, Gesù Abbandonato. Con la conseguenza che Gesù, verrebbe voglia di dire, è quasi il Giovanni Battista di Chiara, o per lo meno lei è il nuovo Messia, venuta a "completare le Scritture". E di questa specie di blasfemia, cosa può interessare ai giovani, che vogliono la comunione dei beni, la protesta, le istanze sociali? Niente: loro pensano a vivere "la semplicità del Vangelo".


Dove c'è un fuoco, non può non bruciare, un fuoco che non diventa mai cenere, che non diventa mai, voglio dire, brace, ma che resta sempre fuoco, non può non bruciare. (...) Ora, gen, capite cosa abbiamo davanti? Che se uno di voi crolla… ci può crollare uno Stato, ma se uno di voi sta in piedi, può darsi che uno Stato sia tutto a gloria di Dio in un domani. E voi direte : "Chiara, è utopia!" Allora è utopia anche quella delle bombe, peggio che utopia della mia, perché tu quante bombe ci vogliono per far crollare il mondo? E qui basta mandare una bombetta qui, una bombetta lì, una bombetta che siete voi, ecco, in tutte le diverse parti del mondo, una bomba in Asia, una bomba in Africa, una bomba in Francia... e star sempre su, non mollare mai, voi direte: "Chiara, come hai fatto tu?" Ma vi si insegnerà anche questo, con Gesù in mezzo poi con Gesù abbandonato quando c'erano le prove, su…, e poi qualche volta... su e poi qualche volta...su e a forza di star su, guardate che roba è venuta fuori. Perciò, gen, avete davanti un avvenire meraviglioso, la salvezza di tutta la gioventù ...perché il grande talento - mi diceva Demetrio sentirete la trasmissione, perché sono stata dal successore del Patriarca Atenagora, no?, mi diceva - il grande talento del mondo sono i giovani, dobbiamo giocare questo talento, perché hanno il mondo di domani in mano, di domani, di presto, perché siete presto voi a... la leva del mondo nuovo, no? Allora diceva: sono quelli - dice il grande talento, sono quelli. Quindi io vi faccio gli auguri perché sono venuta solo per salutarvi, ecco e per dirvi: gen, impegnatevi, impegnatevi con tutto voi stessi. Guardate, gen, ero anch'io una ragazza come voi, avrei potuto fare la strada, una strada normale, come tutti, no? E che cosa… concludere con che cosa? Sarei morta, domani, tra lacrime dei miei parenti, e poi la dimenticanza assoluta, ecco, perché è così. Posso invece buttarmi in Dio, restare in Dio, ma Dio non si spegne, neanche quando io parto da questa terra, se rimango fedele a lui, e resterà sulla terra quello che io ho sempre desiderato da piccolina, una scia di luce, questa luce accesa adesso, questo fuoco acceso adesso, rimarrà. In chi? In tutti quelli che seguiranno questo grande ideale che è Dio, ecco. Allora, come ho chiesto ai gen 3, ci stiamo, no? Ci stiamo? Tutti: Sì! Chiara: Non con un sì a metà, ma con... perché capite che qui, forza contro forza, non bastano delle 'mezze cartucce', qui occorrono…, capite gen? Che facciamo noi delle 'mezze cartucce'? Sono quelle che fanno mal vedere il cristianesimo, meglio... Sai, tiepidi non sono mai una cosa buona, ecco, e noi dobbiamo essere i 'caldi', quelli lì, ecco, non soltanto a parole, ma con i fatti. Perciò lascio adesso… e arrivederci a quando Dio vorrà, eh? (Applausi) (Trascrizione dall'intervento di Chiara Lubich al Congresso dei Gen europei, 1978)


Non si fa molte remore, Chiara, a dire ai giovani che lei e il patriarca Demetrios considerano i giovani "il grande talento del mondo", potenziale grezzo da sfruttare. Utilizzando la metafora della bomba, Chiara corteggia l'immagine del terrorista, allora di tragica attualità, ma le sfugge un piccolo particolare. I gen non sono tanti terroristi, sono le bombe che LEI ha messo in giro. L'unica mente del complotto per sovvertire il mondo è lei, loro sono il materiale.


Un'ultima osservazione interessante: non si può immaginare come Chiara abbia potuto ammettere nelle fila dei gen (e degli adulti) persone di ogni chiesa ed ogni religione. Questi giovani rivoluzionari vogliono ricondurre gli Stati "tutti a gloria di Dio": sono dei cattolici fondamentalisti, ed è divertente che i cosiddetti cattolici "reazionari" li abbiano inseriti nel movimento "postconciliare" da loro aborrito, solo per qualche chitarra elettrica al posto della messa cantata in latino. A prova di quanto l'apparenza abbia prevalso sulla sostanza. Sentite che uso stanno facendo loro del Vangelo:


GUERRIGLIA GEN
(...) Qualche Gen, raro per la verità, ci ha chiesto come fare a portare la rivoluzione Gen nel mondo, quale sia il metodo quasi infallibile. Si tratta di gen in ambienti difficilissimi, circondati dal deserto di persone insensibili ad ogni ideale sublime, sommersi spesso nei piaceri del mondo. A questi gen vorremmo dire ciò che abbiamo suggerito un giorno ad un giovane, Giuliano, che si recava in una nazione del terzo mondo in gran parte ancora d'altra religione: "Vai, taci per almeno sei mesi, non dire a nessuno il tuo segreto, ma ama tutti, tutti, tutti in modo da stabilire un rapporto, che gli altri crederanno forse semplicemente umano, simpatico e attraente. Fatti con ciò molti, molti amici." Il giovane partì. Non conosceva le usanze del posto, né la lingua. Conosceva però il linguaggio dell'amore.


Ve la riassumo un po': Giuliano si mette a fare l'amico di tutti e funziona. Per lavoro è a contatto con i ragazzi, con i poveri, con le famiglie, ma veniamo al sodo...


Il Movimento dilagò. Un Vescovo, due Vescovi, tutti i Vescovi di quella Nazione vennero a conoscenza della cosa. E benedirono l'operato del giovane. Accanto ai gruppi degli adulti vennero costituite delle unità Gen qua e là con l'approvazione scritta dell'Autorità ecclesiastica felice. Intanto quest'anno coll'aiuto di focolarini portatisi lì appositamente s'è svolta la prima Mariapoli. Non vi sembra un miracolo questo? Ecco: quanto ha fatto Giuliano fatelo anche voi." (Chiara Lubich, Colloqui con i gen, ediz. 1974. Ha l'imprimatur del vescovo di Frascati Luigi Liverzani).

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