Cantare di Chiara, Manipolazione- Parte I





Era la predica di Dio: "Tutto è vanità delle vanità." Un ideale solo non sarebbe venuto meno mai, nemmeno con la nostra morte: Dio. E a Dio ci attaccammo con tutte le forze dell'anima. Non aderimmo a Lui perché nulla ci era rimasto, ma perché una Forza in noi ci rendeva felici di averlo trovato nella vita come l'unico Tutto. (Chiara Lubich, Un po' di storia del Movimento dell'Unità, Tipografia AOR)

Siamo tornati nel 1943: Chiara nei rifugi antiaereo, durante i bombardamenti, legge il Vangelo con le compagne e sperimenta che "Tutto passa, solo Dio resta". Quanto può avere influito il trauma della guerra sulla sua psiche? Sembra impossibile quantificarlo: paradossalmente il periodo della guerra è quello in cui Chiara sembra più forte, più viva che mai. Al punto da apparire quasi cinica.
Di fronte alla distruzione e alla perdita di tante vite umane, da parte sua non si percepiscono dolore e smarrimento, anzi: Dio non ha semplicemente permesso alla malvagità degli uomini di scatenare la guerra, cosa che di per sé manderebbe in crisi molti credenti; ha "fatto la predica", come se avesse provocato volontariamente il tutto, come per prendersi una rivincita. E questo è il Dio Amore che si sta manifestando a Chiara? Quali sono i confini tra il bene ed il male? La cosa non sembra sfiorarla, è come se stesse facendo una sorta di investimento: se Dio è l'unica cosa che rimane, punterà tutto su di Lui, e sarà sicura di avere successo.

Sicuramente sopravvivere alla guerra, sentendosi giovane e forte, dà una straordinaria vitalità animalesca, il desiderio di azzannare la vita e prendersela, contro tutto e tutti. Chiara ha fatto proprio questo, si è conquistata il mondo intero, ma ci ha tenuto a precisare che lo portava in dono a Dio. Torniamo nel rifugio antiaereo: Chiara si raduna con le sue compagne, mettendosi a leggere il Vangelo. Ma sono sicura che sta guardandosi intorno, vede scene di angoscia e pensa: "Tutte queste persone hanno perso qualcuno, o qualcosa... Cosa posso offrire loro, che cosa può colmare questo vuoto? Dio! E in quali forme?" La leader adescatrice nasce forse da lì. Come avrete capito dalla grottesca storia di Dolores, Chiara non ha alcuna intenzione di fondare una setta; i settari sono dei farabutti, i nemici della Chiesa. Ma ci ricordiamo le sue parole al padre Casimiro: "Anch'io voglio avere questo fuoco d'amore e spargerlo ovunque."


Si sente parlare della croce a Quaresima, si bacia il Venerdì Santo, si appende nelle aule. Essa sigilla col suo segno alcune nostre azioni; ma non è capita. E forse tutto l'errore sta qui: che nel mondo non è capito l'amore. Amore è la parola più bella, ma la più deformata, la più deturpata. E' l'essenza di Dio, è la vita dei figli di Dio, è il respiro del cristiano, ed è diventata patrimonio, monopolio del mondo; è sulle labbra di quelli che non avrebbero diritto di nominarla. Certo, nel mondo, non tutto l'amore è così: c'è ancora il sentimento materno, ad esempio, che nobilita- perché misto al dolore- l'amore: c'è l'amore fraterno, l'amore nuziale, l'amore filiale, buono, sano: orma, magari inconscia, dell'Amore del Padre creatore del tutto.
Ma quello che non è capito è l'amore per eccellenza: è intendere che Dio, che ci ha fatti, è sceso fra noi come uomo fra gli uomini, è vissuto con noi, è rimasto con noi e s'è lasciato inchiodare sulla croce per noi: per salvarci. E' troppo alto, troppo bello, troppo divino, troppo poco umano, troppo sanguinoso, doloroso, acuto per esser capito. Forse attraverso l'amore materno qualcosa s'intende, perché l'amore di una madre non è solo carezze, baci: è soprattutto sacrificio. Così Gesù: l'amore l'ha spinto alla croce, che da molti è ritenuta pazzia. Ma solo quella follia ha salvato l'umanità, ha plasmato i santi. (Chiara Lubich, Fermenti di Unità, Città Nuova 1963)

Chiara per caso ha affermato che l'amore è vero solo quando si soffre? Lasciamo perdere, per una volta sospendiamo questo discorso, sul quale i critici della Lubich troveranno materia all'infinito; sono gli anni d'oro del dolorismo cattolico, persino Gesù Cristo era preso sul serio in proporzione a quanto aveva sofferto sulla croce.
Quello che è interessante, ai fini della nostra storia di manipolazione, è che a questo mondo tutti desiderano l'amore: è la parola più bella, ma la più "deformata". Nessuno conosce l'amore vero... E allora sarà lei a rivelarvelo, se la seguirete. Lei vi insegnerà come si fa ad amare veramente e, soprattutto, vi farà entrare in un mondo in cui vi sentirete veramente amati.
Al tempo stesso Chiara fa intendere, non senza una notevole delusione, che la maggior parte delle persone "del mondo" non capisce questo amore. Ma tu, che stai leggendo le sue parole, sei sei "rimasto conquistato" l'hai compreso: e allora appartieni ad una categoria speciale, sei un eletto. Hai la stoffa per diventare santo; anche tu, come Gesù, puoi risplendere e guidare gli altri, se seguirai Chiara, ovviamente.

La parola "cattolico" significa "universale", il messaggio della Chiesa vuole essere per tutti. Ma ogni tanto c'è qualcuno che, come Chiara, si insinua anche nella Chiesa per proporre "qualcosa di più", di diverso. Ed ecco che prende forma la deriva settaria, proprio nel cuore dell'istituzione che più di ogni altra ha combattuto settari ed eretici. Una brava ragazza, obbediente e devota alle istituzioni, può nascondere un predatore spirituale.


Non è stato semplice risalire a quel professore di filosofia che diede alla Lubich la possibilità di conoscere quanto grande fosse il suo amore per la filosofia e la verità. Quel giovane insegnante aveva frequentato l'Istituto magistrale di Rovereto, dove si formavano i futuri maestri, e lì si era diplomato nel 1925. Uno dei suoi insegnanti fu l'illustre padre Emilio Chiocchetti (...) Quel sacerdote francescano, maestro del pensiero, l'aveva avviato ai "primi misteri della filosofia dello spirito", tuttavia ciò non bastò a rinsaldare quel giovane nella fede, perché il determinismo positivista ebbe una presa maggiore sul suo animo (...) Dalle relazioni del preside si viene a sapere che il professor Gaspari era di ingegno sveglio, aveva «facilità di parola, amore e pratica della scuola» e sapeva «tener desta l’attenzione», tanto da incantare le studentesse. Alla Lubich, comunque, questo fascino non piaceva tanto, perché, a suo dire, aveva una luce strana che non lasciava in pace il cuore. La situazione le diventò insopportabile a partire dal giorno in cui il professore si mise ad attaccare la Chiesa, tanto che Silvia, che temeva per la fede delle sue compagne, nelle lezioni successive si fece coraggio e cominciò ad alzare la mano, anche più volte nella stessa ora, limitandosi a dire semplicemente: «Professore, questo non è vero!», andando oltre i vincoli, che potevano porre l’età, e oltre la cultura autoritaria del tempo, rischiando non solo un’annotazione sul registro, ma anche di perdere la borsa di studio per merito, a lei necessaria per il prosieguo degli studi. (Vitantonio Carella, Un'ipotetica influenza del Rosmini nel percorso scolastico di Chiara Lubich, Rosminian studies, 2019)

Di Girolamo Gaspari si parla anche in questo post della blogger Tanya: https://combustibilefoc.blogspot.com/2023/10/non-e-vero-professore-parte-prima.html La scuola teatro dello scontro tra Silvia Lubich e il Gaspari traviato dal determinismo non poteva che essere dedicata ad Antonio Rosmini, cultore del "Divino nella natura". Ma Chiara non è consapevole delle reminiscenze scolastiche che innervano il suo pensiero, è concentrata ad osservare il carisma del prof. Gaspari, la sua capacità di attrarre le studentesse e di emanare una "luce strana", una forza oscura. Alzando la mano, Silvia inizia a competere con lui, vuole ricondurre le compagne a sé.

«Quand’ero piccola, avevo un professore ateo che, parlando della libertà, diceva che bisogna avere la libertà di tutto. E io gli ho risposto che la vera libertà è quella del bene, perché è il bene che mi rende libero, il male mi rende schiavo. Lui non lo capiva, perché non credeva in Dio» (C. Lubich, La volontà di Dio, a cura di L. Abignente, Roma 2011,)

L'argomento della libertà, sollevato da Gaspari, non è una volgare critica alla Chiesa, ma una tematica di riflessione che sicuramente poteva toccare vari aspetti del programma didattico ed interessare le ragazze. La lezione diviene per Silvia Chiara "insostenibile": tenta di ripetere lo slogan appreso dall'indottrinamento cattolico, ovvero che il male rende schiavi e il bene liberi, ma nell'ora di Filosofia non fila così liscio come ai ritiri dell'AC. Sicuramente è schiacciata dal senso del dovere di riportare le cose all'ordine: siamo nel 1938, Silvia è già andata, con l'amica Valentina, a chiedere di iscriversi all'AC per "farsi santa", e Don Cesconi, l'Assistente del ramo femminile, ha fatto di lei una "propagandista cattolica".

Che cos'erano i "propagandisti"? Sono riuscita a trovare un documento relativo alla Diocesi di Milano, nel quale le sezioni dei propagandisti AC vengono definite "raggi", termine interessante per chi ricorda l'immagine dei raggi del Sole, cara al pensiero della Lubich. I raggi dell'AC erano osteggiati dal Fascismo e finiranno addirittura per organizzare la resistenza partigiana cattolica, ma il settore femminile, in cui è impegnata Chiara, sembra interessato per lo più al proselitismo negli ambienti scolastici e di lavoro, per "irradiare Cristo nell'ambiente: cioè elevarlo e moralizzarlo mediante l'attività individuale e coordinata di ciascun partecipante". Le pubblicazioni propagandiste risalgono soprattutto al periodo tra gli anni Trenta e Settanta: "Per l'Italia cristiana: orientamenti pratici per la vita di associazione urbana", "Maria SS. e la gioventù femminile", "Difesa della famiglia", "La crociata della purezza: direttive e guide organizzative", e via dicendo. Dietro a Chiara e alla sua mano alzata non c'è nulla di lasciato al caso.

Evidentemente Gaspari è un osso duro, sembra che anche lui abbia il potere di elevare e moralizzare, seppur nell'ateismo, quindi la luce che emana non può che essere inquietante. Ma è pur sempre una luce, e difatti Silvia cerca di entrare in amicizia con il suo docente. Contestandolo, si mette a rischio? Ma figuriamoci, quello a rischio, naturalmente, è lui.

Dagli archivi dell’Istituto magistrale e dell’Azione cattolica sono emersi elementi inediti che documentano come questa vicenda non era rimasta nel chiuso di quell’aula scolastica, se in una lettera riservata (19 maggio 1938) al R. Provveditore agli studi il preside fra le altre cose scrisse che aveva dovuto richiamare quell’insegnante «a non toccare certi problemi» che avrebbero potuto provocare turbamento per la coscienza religiosa degli studenti, dato che esulavano dalle lezioni di filosofia. (...) Ma quella storia non era rimasta neanche all’interno della scuola, se nella seduta del 29 marzo 1938 della Giunta diocesana, che era il massimo organo direttivo delle sezioni dell’AC, venne lapidariamente verbalizzato quanto segue: «Intervento presso Istituto Mag. per impedire espressioni ereticali del prof. di filosofia: ottenuto lo scopo». Quindi, quella vicenda era andata in giro, era arrivata anche in vescovado e non è difficile supporre per quale via, se si tiene conto che Silvia era già propagandista dell’AC e che di quella Giunta facevano parte mons. Delugan, don Cesconi, assistente della Gioventù femminile, come pure il suo professore di religione, cioè don Giovanni Pretti, al “Rosmini” dal 1935 al 1941, 28 e il suo insegnate d’italiano e storia (Vitantonio Carella, Ibid.)

Capito? La nostra piccola propagandista cattolica ha inguaiato Gaspari, che pure le aveva dato un dieci in pagella, andando a riferire i suoi discorsi negli ambienti della Curia. Probabilmente lo avrà fatto senza cattive intenzioni, anche perché don Cesconi ed altri membri della Giunta potevano conoscere il Gaspari anche per altre vie, essendo insegnanti della scuola. Coraggioso lui, ad assumere certe posizioni in un ambiente così influenzato dalla Curia, ma nel 1940 darà le dimissioni, adducendo al fatto di avere una moglie tedesca e di voler seguire la Germania. Per quanto riguarda Silvia, nel 1938, anno del richiamo contro Gaspari, si abilita e ottiene la borsa di studio per la "miglior alunna che lascia l'Istituto". Era una ragazza intelligente, ma in genere non eccezionale, se consideriamo che era stata rimandata in due materie negli esami di ingresso al Rosmini, e che non riuscirà ad entrare alla Cattolica di Milano. Ma una cosa l'ha imparata: Gaspari è stato il suo primo maestro di "carisma".

Ancora una nota a margine di questa storia: Chiara, secondo le testimonianze in Città Nuova, ha maturato un desiderio di santità all'età di 15 anni; ma, essendo nata nel 1920, a quell'età inizia proprio a frequentare il Rosmini, ed incontra Don Cesconi, l'assistente della Gioventù femminile, che insegna nell'istituto da quell'anno. E' probabile che sia stato Cesconi a coinvolgere lei e Valentina con i discorsi sulla santità, e non che le due si siano presentate a lui spontaneamente. Come al solito, Chiara ha riscritto le prime fasi della sua carriera di fondatrice. Le cose non nascono mai da una sua libera iniziativa: prima c'è il lungo tirocinio con l'Ac, poi con il Terz'Ordine Francescano e, infine, la libertà di agire come presidentessa del Movimento.


È la primavera del 1944, Chiara sta spiegando a Doriana - a cui da tempo dà lezioni private - il pensiero di Kant. Il suo metodo era quello di amare ogni pensatore - puntualizza la stessa Doriana -. Amare gli uni e gli altri e quindi capirli, comprenderli, seguire il loro ragionamento. Eravamo dunque arrivate a Kant, letteralmente entusiasmate dalle sue idee... Ma lo studio ci stava portando fuori da quella realtà divina che stavamo scoprendo mettendo in pratica il Vangelo. Allora disse: Fermiamoci, recitiamo il Credo. Il sistema kantiano non sbocca nella vita eterna. Chiara cominciò allora a parlarmi della risurrezione della carne e della vita eterna. E, insieme, abbiamo avuto l'impressione che un raggio di luce scendesse dal quadro del Sacro Cuore che stava appeso alla parete. (Michel Vandeleene, Vita di Chiara Lubich, Città Nuova 30 giugno 2009)

Immaginiamoci se Chiara poteva andare alla Cattolica di Milano, o alla Ca' Foscari di Venezia, a sostenere un simile approccio alla discussione filosofica; meglio farlo con una ragazzina come Dori, e con le altre sue compagne non sarà molto diverso. Archiviato Gaspari e la sua insidiosa concorrenza, tornano i segni soprannaturali che illuminano il quadretto del Sacro Cuore, così come i lumini si accendevano e spegnevano in chiesa. La spiritualità è saldamente in mano a Chiara, che si è rifugiata definitivamente nel suo mondo, e da lì fa proseliti.


Natalia Dallapiccola era nata in un paesino sui monti trentini, Fornace, il 27 giugno 1924. Incontra Chiara a Trento, dove vive con la famiglia, nel giugno 1943. Sta attraversando una crisi profonda in seguito alla morte del padre e all'infuriare della guerra. Deve interrompere gli studi e lavorare per aiutare la famiglia. "Pian piano la musica, la natura, le amicizie perdevano il loro valore. Mi sono trovata in un buio profondo, sino a credere che l'amore in terra non esistesse." Chiara la colpisce per l'armonia esteriore e interiore e per le sue parole con cui comunica la sua grande scoperta, "Dio è amore"... (Natalia Dallapiccola, la prima che ha seguito Chiara Lubich, ha concluso il suo viaggio terreno, in www.focolare.org).

Rispetto alla sempre un po' scapestrata Dori, Natalia sembra più riflessiva, già animata da una ricerca personale: incontra Chiara in un momento delicato della propria vita, tra un lutto familiare e la rinuncia, dovuta alla guerra, alle abitudini di sempre. Quante volte abbiamo già sentito questa storia?

È il 23 aprile 1944 quando Giosi Guella viene invitata da un’amica a passare una domenica all’aperto con un gruppo di ragazze. È così che questa giovane di 21 anni, nata tra le montagne trentine, in un ambiente povero ma sano e ricco di valori, incontra per la prima volta Chiara Lubich e le sue compagne. «Ho avvertito la presenza di Dio in un modo talmente forte da poter dire che quel giorno Dio è diventato l’Ideale della mia vita», racconta Giosi. E ricorda che anche «Chiara era rimasta stupita perché, una settimana prima, mi aveva vista passare e mi aveva affidata a Gesù, perché mi portasse Lui, quando voleva, al suo Amore. Ed ero già arrivata!» (da www.focolare.org)

Giosi Guella è una ragazza intelligente e dotata di spirito critico, ma come non sentirsi lusingate, a sentirsi dire "Ti avevo vista per strada e non mi aspettavo che arrivassi così presto!" Come le altre "prime compagne", preferisce Chiara alle solite ragazze di Azione Cattolica perché il gruppo del focolare è informale, si ride e si scherza, si sente libera di dire tutto ciò che pensa. Non immagina, Giosi, che proprio il suo rapporto con Chiara sfocerà in un conflitto durissimo, tra allontanamenti, punizioni, fino al rifiuto, da parte sua, di salutare Chiara prima di morire, nel 1997. Può sembrare sconvolgente ma, se così fosse, sarebbe stata una delle poche relazioni normali sopravvissute nella vita da "guru" di Chiara Lubich.


Rispetto alle compagne Chiara assume un ruolo di potere indiscusso, assegna loro soprannomi, "colori" (ovvero incarichi diversificati per la direzione del Movimento), dispensa insegnamenti e, sovente, utilizza metodi punitivi per stigmatizzare chi osa "rompere l'unità". Quando iniziano le intuizioni mistiche, pretende che l'intero gruppo viva in funzione di lei, divenendo una sorta di cassa di risonanza di ogni suo pensiero e sentimento; un gruppo di supporto, innanzitutto, che sostiene continuamente la sua autostima e le restituisce, confermata e amplificata, l'immagine di carismatica innovatrice.

Similmente si comportava Chiara con Marilen; la amava, la curava, la stimava...Tanto che Marilen si preoccupò, nei suoi complessi, quasi che Chiara si fosse fatta di lei un concetto assolutamente superiore ai suoi meriti. E glielo disse: "Chiara, io non sono quel che tu credi: tu ti fidi troppo di me." "Non di te mi fido, ma di Gesù in te." Questa risposta rivelatrice liberò Marilen dai suoi complessi e la rese totalmente- e docilmente- disponibile a tutte le istanze del nuovo ideale. (...) Nell'entrare in focolare, Chiara le disse: " Questo è il giorno delle tue nozze. In questo giorno lo Sposo dona quel che la sposa gli chiede. Domanda a Gesù quanto ti è più caro." Marilen chiese di diventare "il vuoto di Chiara". E lo divenne. Ché dopo due mesi- due mesi nei quali ogni giorno, da mane a sera Marilen convisse con Chiara- Chiara osservò: "Marilen, lo sai? Solo oggi mi sono accorta che tu sei in focolare." E fu la gioia più piena in quel vuoto. Gioia per la convivenza "alla focolarina". (Igino Giordani, Storia di Light)

"Love bombing": Marilen incomincia con l'essere al centro delle attenzioni di Chiara e finisce, una volta diventata focolarina, per essere "il vuoto Chiara", dedita a servirla e ad assecondarla in ogni modo. Quanto può essere crudele dire ad una persona che ha annullato completamente la propria autostima per te "Per due mesi non mi sono nemmeno accorta che ci fossi"? Da come scrive Giordani, sembrerebbe che Marilen abbia scambiato la sottile perfidia, il gusto di dominare, per una certificazione dell'alto livello spirituale che ha raggiunto. Il vuoto della "convivenza focolarina".

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