Cantare di Chiara- Follia, parte II

 



Verso i 15 anni Silvia Lubich avverte nell'anima una chiamata: "Voglio farmi santa!" dice a Valentina Ghesla; l'amica risponde: "Anch'io!". Insieme si recano in via Borsieri, sede della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, e confidano all'assistente don Cesconi il comune richiamo interiore. Frequentano le adunanze del sabato pomeriggio con altre iscritte (...) Dopo il pensiero spirituale, si canta e si sta insieme fino alle 7; il giorno dopo, domenica, tutte alla messa. (Elena Del Nero, La prima chiamata alla santità di Chiara Lubich, Città Nuova 24 gennaio 2020)

"Salve, vogliamo iscriverci perché vogliamo farci sante." A quell'età, in un ambiente profondamente cattolico, è un pensiero molto comune, più di quanto si creda; e infatti non mi risulta che Valentina abbia fondato un movimento con migliaia di adepti, semplicemente ha orientato i suoi sogni di santità ad una vita normale. Cos'ha risposto don Cesconi alle due ragazze, quando gli hanno confidato l'anelito? Ne sarà stato ben contento per instradarle nell'Azione Cattolica ma se, per caso, ha detto a Silvia di darsi una calmata, notando una certa esaltazione, lei non ce lo farà sapere mai.

Molti teologi hanno obiettato, condannando la Lubich, che la santità è una grazia di Dio, ma forse dovrebbero vergognarsi un po' anche loro; come scopriremo, è Don Cesconi che ha infuso queste idee nella mente delle ragazze, e non il contrario. Quando la Chiesa vuole coltivarsi i giovani, non propone loro i raffinati discorsi dei teologi.  Invitare i ragazzi a "farsi santi" era un modo per tenerli sotto controllo, fidelizzarli e mandarli in giro come "propagandisti". Venivano offerti continuamente gli esempi dei "santi bambini", a cominciare da San Domenico Savio, che riscuoteva grande impressione con il suo motto "La morte, ma non peccati". "Farsi santi" in teoria consisteva in un intreccio un po' morboso di slanci mistici e pensiero della morte precoce; in pratica significava seguire il programmino dell'Ac, con il pensiero, i canti e la messa alla domenica. Silvia Lubich deve avere percepito una certa delusione. Ma, invece di ribellarsi, incomincia a rielaborare una sua personale visione della santità: non vuole diventare "santa", ma "UNA SANTA", ovvero una grande personalità nella Chiesa.

Alla ricerca della verità, di Dio, si appassiona alla filosofia. Appena diplomata maestra, sogna di accedere all'Università Cattolica di Milano, ma per un punto non vince il concorso per ottenere una borsa di studio. (dalla voce "Chiara Lubich" in Wikipedia)

Penso di non avere sentito di nessun altro che volesse studiare Filosofia "per conoscere la Verità e Dio", così a colpo sicuro. Direi che è l'esatto contrario dell'approccio che ha un filosofo... La famiglia fa presente a Silvia che non ci sono le risorse economiche, pertanto deve rinunciare ed iniziare a lavorare, come maestra elementare. La storia ha degli elementi che non tornano: i genitori di Silvia, se anche avesse ottenuto la borsa di studio, non avevano messo in conto le spese per il suo trasferimento a Milano? In realtà esiste un piano di riserva: iscriversi alla facoltà di Ca' Foscari di Venezia, ma lo farà solo nel 1943, cinque anni dopo il diploma. Abbandona gli studi dopo un anno, a causa della guerra: perché non penserà mai di riprenderli? Forse è solo un pretesto per coprire una rinuncia motivata, invece, dalla convinzione che quegli studi siano inutili.

Era il tardo pomeriggio di un sabato; si stava concludendo la nostra giornata di Scuola Abbà. Avevamo appena visto, con Chiara, il filmato del suo discorso all'Università Cattolica di Washington, nel quale ella racconta del profondo desiderio che nutriva, da giovane, di "conoscere Dio". Per questo le sembrava logico andare a studiarlo in una una università cattolica e tentò un concorso che le avrebbe permesso, date le condizioni economiche non floride della sua famiglia, di frequentarle gratuitamente. Ma non fu ammessa. La guerra, poi, le impedì di recarsi alle lezioni della facoltà di Filosofia a Venezia. Ella si trovò con le strade sbarrate, frustrata nel suo desiderio più profondo. E avvertì allora, interiormente, la voce di Gesù che le diceva: "Sarò io il tuo maestro." L'episodio è noto e anch'io già lo conoscevo. Ma quel giorno mi parve di intenderlo in un modo nuovo, che mi dava una particolare esultanza interiore. Chiara se ne accorse perché, uscendo dalla sala, si fermò a chiedermi: "Che cos'hai?" "Chiara" spiegai "come potevi pensare di conoscere Dio leggendo di Lui su libri scritti da altri? Dio non poteva permettere una cosa del genere: perché è lo Sposo stesso che racconta di Sé, nell'intimità, alla sua sposa. Per questo ti ha impedito di studiare, per questo ti ha detto "Sarò io il tuo maestro." E Chiara: "Sì, è così." (Antonio Maria Baggio, Il pensiero nuziale di Chiara Lubich, Nuova Umanità, Marzo 2008)

L'ingenuità della ragazza che vuole conoscere Dio studiando filosofia, anzi, studiandolo, è talmente grande che viene scambiata per genio, tanto più che vuole farlo nell'università che ha l'aggettivo "Cattolica" sull'insegna, per andare sul sicuro.
Il prof. Baggio, come tutti gli studiosi focolarini che circondano Chiara, ha imparato da lei a coltivare le "intuizioni", e così abbiamo le "intuizioni" sulle "intuizioni", Chiara viene influenzata dal continuo feed back dei suoi seguaci, come una spirale che si avvita su se stessa. La risposta laconica "Sì, è così" è molto significativa: Antonio Maria Baggio ha preso la sua storia e ne ha tratto una "intuizione", ma quella di lei, la memoria di ciò che ha realmente vissuto, ancora una volta viene ricacciata indietro e messa a tacere. Potrebbe mai confidarsi con qualcuno, in un ambiente del genere?
Per lei la frase significava, probabilmente, "Mi arrangerò da sola, non ho bisogno di nessuno." O forse ha ragione Baggio, e qui fa un'invasione di campo in quella che, secondo lui, è la parte più bella della storia, il matrimonio di Chiara con Gesù Abbandonato, mentre per lei è, probabilmente, una questione dolorosa e complessa. Chiara "conosce" Dio in prima persona, non ha bisogno di studiare, come quei poveracci dei filosofi; figuriamoci poi a Venezia, dove i profani insegnano in modo laico. In teoria, i libri per "conoscere Dio" sono stati scritti da monaci, sacerdoti, credenti convinti come Pascal, che quindi hanno anche loro "sposato Dio", e Lo hanno descritto in modo significativo. Ma la rivelazione di Chiara è migliore perché, essendo rimasta ignorante, è una sorta di "medium" di Gesù, come la Pizia lo era per i sacerdoti di Delfi: una donna che entrava in trance per riferire, attraverso la sua bocca, le parole di Apollo. E i fedeli beneficiavano della rivelazione.

Il 20 luglio 1938 Silvia Lubich consegue l'abilitazione magistrale e nell'autunno dello stesso anno inizia ad insegnare come maestra. "Amavo tanto i bambini perché già vedevo Gesù in loro, perché Lui ha detto "Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli".[..] Il pomeriggio dicevo: "Adesso bisogna dormire mezz'oretta, mettetevi sul banco con la testa ricurva." Passavo e avevo dentro un bisogno quasi di benedirli[..] come una madre. Ecco: e c'era un silenzio; questa pratica di far scuola a Castello in Val di Sole, ma poi anche a Livo [...] m'ha allenata ad amare." (biografia nel sito www.chiaralubich.org)

Naturalmente Silvia è la migliore insegnante che si sia mai vista, i suoi alunni, da adulti, dichiarano tutti di conservarne un ricordo meraviglioso: materna, innovativa, inclusiva... Ovviamente è una perfezionista A dire la verità, i suoi metodi, per come vengono riferiti dagli psicopedagogisti del Movimento, che li hanno studiati a modello di "nuova pedagogia", non sembrano nulla di eccezionale, rispetto alla media dei bravi insegnanti. Ma ci si affretta a precisare che erano "all'avanguardia per l'epoca". A Chiara piace insegnare? Si direbbe di no, lei sta inseguendo i suoi interessi mistici, come al solito.
Che carini questi bambini, pure essendo così... Minimi, c'è già Gesù in loro... Tolto Gesù (con tutto rispetto per Nostro Signore), i bambini valgono qualcosa di per sé, come persone distinte dagli adulti? Non troppo, se è per quello; il momento in cui li ricorda più volentieri è quando fanno la nanna con la testa sul banco: silenziosi e impotenti, quindi. Chiara pensa all'atto di "benedire", come se passasse in mezzo a loro a mo' di guaritrice, di santona, e lo ritiene tipico di una madre. Non mi dà l'impressione, al contrario, di avere un atteggiamento materno; sembra che, ancora una volta, l'esperienza dell'insegnamento la stia portando ad uno stato di esaltazione.

I bambini, per Chiara, sono "l'allenamento". A quello che ha in programma di fare dopo? Sono le sue piccole cavie?




Nel 1939 Chiara si trova a Loreto per partecipare ad un corso di "Dirigenti di Azione Cattolica". Comprensibile che l'abbiano nominata dirigente, sicuramente dà a tutti un'ottima impressione, ma come si trova lei all'interno dell'AC? Perché vorrà a tutti i costi aprire una nuova strada, qualcosa la lascia insoddisfatta?

Il santuario di Loreto, nelle Marche, custodisce la "Santa Casa di Nazareth", ovvero la dimora dove Gesù, Giuseppe e Maria sono vissuti e che, secondo la tradizione, sarebbe stata portata in Italia dagli angeli. Ricordo che, in tempi più recenti, Chiara aveva dichiarato di sapere che "Angeli" era il probabile nome della famiglia che aveva effettuato il trasporto delle strutture della casa, nell'epoca in cui il trafugamento di reliquie dalla Terra Santa era continuo. Probabile che all'epoca tutti credessero veramente al prodigio.
Chiara arriva a Loreto già entusiasta, perché suo padre, in precedenza, le aveva proibito di partecipare ad un raduno simile ad Asiago, motivando il rifiuto con il pericolo della guerra imminente. Solamente per questo o c'erano dei dissidi tra loro? Peccato non avere la versione dei fatti del signor Lubich, che amava la figlia ma viene dipinto spesso come "severo", sicuramente animato da un certo buon senso. Ovviamente il permesso di andare a Loreto è visto come un miracolo, e, tutto quello che lì succederà, sarà la ricompensa per avere obbedito al padre, da brava ragazza.

Al centro della navata, proprio sotto l'enorme cupola del Sangallo, biancheggiavano i marmi scolpiti che, come uno scrigno, racchiudevano la Santa Casa. Si diresse speditamente lì, senza quasi badare alla profusione di opere d'arte contenute in quel tempio maestoso. Si affacciò nella casetta trasformata in cappella, sulla cui parete di fondo, tra candele votive e fiori, appariva la Madonnina nera con il Bambino inguainata in un suntuoso manto e, mentre volgeva lo sguardo intorno su quelle pietre annerite dal fumo delle lampade e rese lucide dal contatto di innumerevoli devoti, venne sopraffatta da un'insolita commozione, l'anima tutta presa dal mistero lì ospitato. Quella famiglia così straordinaria, che nell'intimo custodiva la ricchezza divina irradiata dal Verbo fatto carne, aveva vissuto una vita all'apparenza come tante, semplice e operosa: Giuseppe intento ai suoi lavori di falegname, Maria alle faccende domestiche. Silvia immaginava di sentir echeggiare tra quelle pareti i canti della Madonna e la voce infantile di Gesù, di vedere il Bambino passare da lì a lì mentre giocava e aiutava i suoi genitori. Forse da quella finestrella era entrato l'angelo ad annunciare la nascita del Figlio di Dio, forse... Era contemplazione accompagnata da lacrime senza freno, l'impressione di essere schiacciata dal divino, trasferita in un altro mondo. (Oreste Paliotti, Città Nuova, 8 marzo 2013)

Sicuramente Paliotti ci mette del suo, ma anche i racconti originali di Chiara hanno la stessa poetica. Importante precisare che, entrando nella basilica, non fa caso alle opere d'arte, roba profana, lei è catturata solo dal Divino... In realtà sono proprio le opere d'arte, l'intensità di stimoli sensoriali (candele, fiori, probabilmente incenso, la preziosità degli arredi, le pietre levigate dal contatto...) ad impressionarla profondamente. Non è affatto vero che la commozione è insolita, per una ragazza che dalla prima infanzia vede i raggi dell'ostensorio e i lumini che si accendono e si spengono. Probabilmente è la prima volta che lascia il Trentino e che si trova in un grande santuario.
Lacrime, sentirsi schiacciata: si tratta veramente di un fenomeno mistico, o della prima crisi importante? Sembrerebbe quasi un attacco di panico e quel "trasferita in un altro mondo" è aggiunto dal giornalista con disinvoltura. E' solo un modo per dire che sta fantasticando, oppure ha perso sul serio il contatto con la realtà? E quando torna al raduno, nessuno si accorge che è alterata?

Sicuramente Chiara sta fantasticando quando immagina le attività quotidiane della Sacra Famiglia: siamo ad un livello di storielle dei Vangeli apocrifi, mi chiedo se l'Azione Cattolica tenesse degli approfondimenti teologici sull'Incarnazione (e pare di sì, perché Chiara ha delle conoscenze del "Verbo fatto carne") o se, invece, le ragazze fossero lasciate a Giuseppe che fa il falegname e Maria la brava madre di casa. In sostanza, l'emotività è molta, la profondità della riflessione si riduce a questo: sembravano valere così poco, e invece guarda che santuario magnifico si sono guadagnati!

Contemplo col pensiero la vita verginale dei tre: "Dunque Maria avrà abitato qui- penso- Giuseppe avrà attraversato la stanza da lì a lì. Gesù Bambino in mezzo a loro avrà conosciuto per anni questo luogo. I muri avranno riecheggiato la sua vocetta di infante..." Ogni pensiero mi pesa addosso, mi stringe il cuore, le lacrime cadono senza controllo. Ad ogni intervallo del corso, corro sempre lì: quella convivenza di vergini con Gesù fra loro ha su di me un'attrattiva irresistibile. Tornata nel Trentino, in un paesino della Val di Sole, dove facevo scuola, trovo i miei alunni e il parroco (don Francesco Marcolla, parroco di Val d'Ossana n. d. A.) che mi vede felice e mi fa una domanda: "Hai trovato la tua strada?" "Sì" rispondo. "Il matrimonio?". "No". "Il convento?". "No". "Rimarrai vergine nel mondo?". "No." Capisco che è una cosa nuova. Ma non so altro. A Loreto avevo avuto plasticamente, vorrei dire, la visione, la prima idea di quello che sarebbe stato il focolare, per il quale è indispensabile, per l'amore sempre vivo, la presenza spirituale di Gesù in mezzo a noi, come era fisicamente per Maria e Giuseppe. (Chiara Lubich in Oreste Paliotti, ibid.)

E' don Marcolla ad intavolare la questione della vocazione, anche se Chiara gli ha scritto entusiasta da Loreto, come vedremo, dicendogli di avere fatto una scoperta. Probabile che le signorine dell'AC fosse sottoposte ad una pressione per "sistemarsi", incanalandosi in una delle scelte previste per una donna rispettabile: se non si sposa e rimane single, che almeno sia "vergine nel mondo". Forse l'ansia di sistemazione gioca un ruolo nella vocazione di Chiara: questa pressione contribuisce a renderla irrequieta perché, essendo una ragazza fuori dal comune, non riesce ad allinearsi, vorrebbe fare qualcosa di diverso.
Ma, dal mio punto di vista non qualificato, trovo che la nuova vocazione contenga una certa confusione. La più grande preoccupazione di Chiara è specificare che Giuseppe e Maria sono vergini, ed utilizza un termine, "convivenza", che suona un po' strano per una famiglia. Come volete che vivano un padre, una madre ed un figlio, se non insieme? Di fatto, la verginità non è così importante nel caso di Giuseppe e Maria: hanno risposto ad una richiesta divina per dare una sistemazione socialmente accettabile a Gesù, nato in modo quanto meno imprevedibile. Quello che conta, agli occhi di Dio, è che siano bravi genitori, più che bravi vergini, e infatti Gesù per loro è un figlio reale, una persona umana da educare. Chi vive insieme, nel focolare, vergini o sposati? Tutt'e due, conclude Chiara, introducendo le figure dei focolarini sposati. Ma che cos'è "Gesù in mezzo", il Gesù spirituale, e non fisico, che i conviventi generano? Gli sposati generano dei bambini in carne e ossa, degli individui che avranno una loro testa e il loro modo di intendere la vita. E non resteranno bambini per sempre.

Credo che non sia nemmeno vero che i focolarini sono i primi laici vergini a vivere insieme, nella storia della Chiesa, ma non ha importanza. C'è sempre qualcuno pronto ad aggiustare quello che in Chiara è un po' storto, finendo per toglierle il diritto di essere ciò che è, una persona "interrotta".
Elena Del Nero, collaboratrice del Centro Chiara Lubich di Rocca di Papa, nel 2021 pubblica l'ultimo di una serie di libri per sviscerare la vocazione del focolare:

Nel pensiero della Lubich si delineano nel tempo alcune precise caratteristiche della figura del laico che emergono più dalla vita vissuta che da teorizzazioni o speculazioni intellettuali. "Sicuramente" commenta Del Nero, "esse nascono dalla visione di Chiara della persona umana come custode dentro di sé della scintilla della presenza di Dio, quindi una visione universale dove ognuno acquista la sua dignità, per lei infatti non c'erano barriere di nessun genere. E poi anche l'importanza della comunità e quindi della vita di comunità, una realtà di comunione che diventa per lei presenza del popolo di Dio (...) Maria è il modello del laico perché Chiara vede in Lei colei che ha realizzato l'incarnazione e quindi colei che fa entrare Gesù nella storia, Gesù che quindi si fa prossimo e presente ad ogni uomo e entra in tutte le dimensioni umane." (Intervista ad Elena del Nero in La laicità di Chiara Lubich: alta contemplazione rimanendo “immersi nel mondo, Adriana Masotti, www.vaticannews.va 02 ottobre 2021)

La "vita vissuta" starebbe nel fatto che la povera ragazza, che non ha potuto studiare per la gioia dei suoi teologi che la vogliono ignorante, ha avuto una crisi lontano da casa. E così ha inventato una figura nuova di laico, anzi, ha dato un vero ruolo al laico che, fino a quel momento, non aveva nemmeno "la sua dignità". Tralasciamo che la prima comunità cristiana non considerava nemmeno la distinzione tra clero e laici, e che lei stessa, per consacrarsi, si aggregherà al Terz'Ordine francescano, che è composto da laici che godono di ottima salute. Caso mai Chiara potrebbe dire che ha svecchiato la vita consacrata, introducendo un nuovo tipo di religioso più dinamico, che fa una vita quasi normale, come faranno altre vocazioni di comunità, che stanno nascendo in contemporanea alla sua e, soprattutto, nasceranno dopo (pensiamo ai preti operai)...

Ma c'è quell'elemento, evidenziato dalla Del Nero, che riguarda la "scintilla della presenza di Dio" in ogni uomo. E suona un po' particolare, un po' inquietante. E' come se Chiara vedesse nell'uomo un Dio potenziale, in grado di accrescersi e "divinizzarsi", e questo fa pensare a dottrine non strettamente ortodosse.

"Posso dire che c'è un momento in cui lei avverte chiaramente la sua dimensione laicale ed è quando, durante il Natale del 1943, dopo essersi già consacrata a Dio, avverte un'ulteriore spinta a donare tutto, tutto quello che fino a quel momento aveva caratterizzato il suo mondo (...) ma contemporaneamente avvertendo un certo disagio interiore nei confronti di questa scelta. Risolutivo risulta allora il dialogo con il suo confessore, nel quale lei capisce che la santità non dipende da uno stato di vita, quanto piuttosto dal vivere la volontà di Dio. Questo le fa intuire di avere in mano la possibilità di indicare a chiunque, in qualsiasi stato di vita si trovi, l'accesso alla santità." (Elena Del Nero, ibid.)

Torneremo su questo episodio, perché è importantissimo. Raccontando la storia di Chiara, si ripete sempre che, all'epoca, era il pensiero comune a considerare gli sposati dei cristiani di serie B, rispetto ai consacrati; ma è il confessore, padre Casimiro, che conosceremo prossimamente, a dire che la santità è la volontà di Dio, e padre Casimiro è un francescano nella norma, non un rivoluzionario. Se lo pensa lui, vuol dire che il pensiero, nella Chiesa, era più comune di quanto Chiara non ritenesse. Sicuramente i laici non contavano quasi nulla a livello di potere, di visibilità.
La radice dell'inferiorità, come potrete immaginare, è ricondotta all'attività sessuale che la grande maggioranza dei cristiani pratica, per mandare avanti il mondo. Maria e Giuseppe erano vergini... Ma si tratta, ovviamente, di una scusa vecchia di millenni. 

Come fa Chiara, a dare la nuova dignità? Mettendo i laici, di fatto, in convento, a rimanere vergini, oppure sposati, ma a stretto contatto con i vergini, per ricevere la "purezza" per osmosi. Come fanno i laici a catapultare Cristo nel mondo? Rinunciando agli attaccamenti, come i monaci di clausura, e questo è ciò che Chiara chiama "perdere tutto"; in sostanza, sono dei monaci travestiti da laici, lo specifico del laico dov'è?
Lo specifico del laico ha una sporcizia, anche Chiara continua a pensarlo, inconsciamente. Bisognerebbe strofinarlo via: le ossessioni religiose rientrano nei disturbi compulsivi. D'altra parte, questa "sporcizia" purificata sarà molto utile alla sua affermazione, perché gli ambienti in cui deve certificare la propria affidabilità, quelli ecclesiastici, amano sentirsi superiori ai laici: più li vedono umili e "monacali", più sono compiaciuti. Se i laici iniziassero a sventolare la loro parità con il clero, sarebbero inappropriati. 

L'ultimo giorno di quel ritiro, vedendo la chiesa gremita di giovani, le passa un pensiero che mai si sarebbe cancellato: "Sarai seguita da una schiera di vergini". (dal sito www.focolare.org)

Ho sempre capito, nelle varie narrazioni di questa storia, che Chiara avesse visto la schiera di vergini nella sua immaginazione, mentre era raccolta a pregare. No: le vede sul serio, sono le altre ragazze del convegno AC, radunate per la messa conclusiva. "Come sarebbe bello se tutte queste ragazze seguissero me!" In pratica Chiara si è appropriata di una schiera di vergini, quelle che aveva radunato l'Azione Cattolica. In un'altra versione, si dice che le ragazze avevano dei veli bianchi in testa: è una suggestione visiva, che sicuramente fa presa su di lei ed innesca la "vocazione".


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