Cantare di Chiara- Follia, parte I

 





1. FOLLIA

Delirio mistico: un individuo ritiene di essere in contatto profondo con la Divinità, che gli ha affidato dei compiti, come una missione esclusiva, arrivando a sentirsi lui stesso una personificazione della divinità.

"Andare fino in fondo. Non si potrebbe definire così il desiderio profondo della vita religiosa? (…) Questo atteggiamento non porta alla salvezza, ma piuttosto alla follia." (Padre Dysmas de Lassus, Schiacciare l’anima. Gli abusi spirituali nella vita religiosa)


E' possibile che Chiara avesse delle turbe psichiche? Perché nessuno se ne sarebbe mai accorto? In realtà, le narrazioni sulla sua persona sono limitate e ripetitive, inoltre conosciamo solo la sua versione dei fatti. E per "sua versione" intendo anche quella dei primi compagni, e persino quella di parenti e amici estranei al Movimento; anche quest'ultimi rispondono quasi sempre a media dei Focolari, e non fanno altro che confermare l'unica versione. Purtroppo sono tutti morti, o quasi, quindi sarebbe molto difficile fare un'indagine ponendo domande diverse.

Quand'ero una bambina "La storia di Chiara" veniva pubblicata a puntate nel Giornalino Gen 4 (ogni branca ne aveva uno, persino le Gen4, che hanno tra i quattro e gli otto anni) e veniva realizzata una serie di incontri, "le Giornate Arancio" (leggi: di proselitismo), nei quali la biografia autorizzata della nostra "mamma Chiara" veniva rappresentata con scenette teatrali dalle stesse gen, o dalle gen più grandi, che fungevano da animatrici. Oppure si proiettavano, in forma di diapositive, i disegni del giornalino, con una lettrice di sottofondo. Ricordo bene quei disegni, credo eseguiti da una popa del Centro, nei quali Chiara compariva come una deliziosa bambina, umile e assennata. Tutti i protagonisti della storia erano in posa icastica, bidimensionali, con le facce un po' uguali, come nelle storie di Giotto.

Una volta ci trovavamo in un teatro parrocchiale, affittato per una di quelle "giornate"; il custode iniziò ad agitarsi e a criticare qualunque cosa facessimo: ero molto piccola, lo presi per una persona cattiva, mentre ora inizio a pensare che fosse preoccupato. La cosa non lo convinceva, forse era turbato dagli strani contenuti di quel "movimento" che non conosceva. Secondo voi chi poteva passare per matto: uno come lui, o Chiara Lubich? Avete già capito la risposta: chi mai potrebbe pensare che una bambina santa, che viene proposta in tutte le lingue a centinaia di altre bambine, sia malata di mente?

Non ho conosciuto Chiara direttamente: l'ho vista alcune volte da lontano, moltissime in video, e per realizzare queste storie ho lavorato, per scelta, solo su quello che scriveva. E, da quanto scrive, mi ricorda altre persone che ho conosciuto molto bene. Sicuramente si saranno accorti in parecchi che era un po' particolare, ma  non gradiva le critiche. Una persona che scrive quel genere di cose, se viene contrastata, si inalbera e tende a rilanciare, cioè a persistere nella propria idea, facendo anche di peggio. Mia sa che c'era poco da fare, con lei: come Don Chisciotte, trovava sempre un nuovo "segno" per continuare ad illudersi di essere speciale.

"Vedi, io sono un'anima che passa per questo mondo. Ho visto tante cose belle e buone e sono sempre stata attratta solo da quelle. Un giorno (indefinito giorno) ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii. Mi accorsi che era la Verità."  (Lettera ad un'amica, anni '40)

Solo dalle cose belle sei stata attratta, Lubich? Ma proprio proprio solo da quelle? Neanche, che ne so… Fumare di nascosto le sigarette nel bagno della scuola? No, lei no. E già qui potrebbero suonare i campanelli d’allarme: è normale una persona che ritiene credibile presentarsi così, assolutamente perfetta? Coloro che vogliono apparire sempre bravi, obbedienti, diligenti, possono nascondere dei gravi problemi. 
La persona destinataria della lettera è un’amica, quindi si tratta di una posa, un atteggiamento che Chiara assume per fare colpo su di lei (è indicativo quel “vedi”, dal tono di superiorità). La ragazza probabilmente è una delle seguaci più fedeli, quindi queste vanterie non le sono sembrate esagerate, anzi, ha provveduto a diffondere la frase, che è diventata virale, e ripresa dallo stesso sito Focolare.org per inquadrare la figura della Lubich. Ma questo è accaduto ben prima che Silvia “Chiara” morisse, quindi lei stessa ha autorizzato una simile narrazione di sé, pertanto crediamole, immaginiamo che lo stia dicendo a noi.

Con quale parametro Chiara stabilisce che una cosa è "bella e buona"? Quello della Chiesa cattolica degli anni Tenta e Quaranta: il più chiuso che si possa immaginare. Per di più, vive nella città di Trento.

"La cosa cominciò, come le cose di Dio, da umile germe. Silvia Lubich era figlia di un commerciante di vino, ridotto dalla crisi economica della seconda guerra mondiale a modesto impiegato del Comune, e di una massaia di Trento che da giovane aveva lavorato alla tipografia di Cesare Battisti. Due cristiani di tipo trentino: semplici, diritti, senza tante storie. Essi avevano messo al mondo quattro figli, un maschio, il primogenito, e tre ragazze di cui Silvia, nata il 22 gennaio 1920, era la maggiore; a tutti avevano impartito un’educazione cristiana, la quale forgiò Silvia a una pietà lineare sin dall’infanzia. Lineare, perché non consentiva compromessi: non consentiva che si dividesse il desiderio tra Dio e il mondo, che si pensasse al bene e al male, che si mostrasse una cosa e se ne celasse un’altra. C’era Dio: Dio era tutto: e dunque bisognava essere tutti di Dio: fare la volontà di Lui, sempre come un raggio di sole spiccato dal cielo per posare in terra (Igino Giordani, Storia di Light, Nuova Umanità, 2015)"

Ancora oggi si tende a pensare che gli abitanti del Trentino siano persone dalla mentalità chiusa ed il carattere molto freddo, e parliamo di una provincia all’avanguardia in Europa in molti campi. L’onorevole Giordani scrive la biografia di Chiara Lubich, rimasta inedita, negli anni Cinquanta, quando i trentini rappresentavano l’elettorato ideale del suo partito, la Democrazia Cristiana, si contendevano con altre province del Nordest il titolo di “Sagrestia d’Italia” e, soprattutto, erano i corregionali del Presidente Alcide De Gasperi. E così la famiglia Lubich viene caricata di tutti gli stereotipi sulla trentinità: patriarcali alla massima potenza, perché Gino è il figlio maschio ma poi, anche tra le femmine, vige una gerarchia per cui Silvia è la maggiore; i due genitori non sono nulla di che, lui un “modesto impiegato”, lei una “massaia” che ha fatto giusto un lavoretto da giovane, all’ombra dell’eroe Cesare Battisti. In realtà si intuisce che i due sono acculturati e più dinamici della media, ma Giordani se li deve immaginare “semplici, diritti, senza tante storie”. È ovvio che non è questa la reale educazione che Chiara ha ricevuto nel suo ambiente trentino: sarà stato semplicemente provinciale e, soprattutto, conservatore, anche se basta fare un giro per la città, unendolo a qualche ricerca storica, per capire che non si tratta affatto di un ambiente “lineare”, ma piuttosto molto incline all’esoterismo e ad una visione irrazionale della religione. “Non consentiva che si dividesse il desiderio tra Dio e il mondo” è un’ossessione della Lubich e di Giordani, che svilupperanno in epoche ben diverse.

Ma immaginate come possa evolversi, la giovane “scesa dalle montagne”, come possa uscire dal pensiero retrivo della Trento bigotta, se si trova ad essere magnificata continuamente perché è “lineare”, manichea, senza compromessi con la modernità. Nella prossima storia Chiara sarà reclutata da una serie di personalità ecclesiastiche che vogliono da lei, proprio in virtù della sua naïveté, che promuova il cristianesimo integralista tenendolo abilmente nascosto, dietro le parole accattivanti sull’Amore. In questa storia, invece, segue quello che la suggestiona, e si sa, più la religione è estrema, più ha presa sulle persone instabili.

Non riesce lei stessa a distinguere i vari strati delle sue “visioni”: quello dei primi ammaestramenti infantili, quello delle cose lette e studiate, quello dell’influenza di Giordani e di altre figure che reputa autorevoli, quello del suo “desiderio”, che l’educazione le ha imposto di indirizzare solo a Dio. Ma quando lo vedrà, Dio sarà per lei “una voragine”: dentro Silvia abita un caos, una fornace ribollente, quanto c’è di più lontano dall’essere semplici, diritti, senza tante storie.
C’è del maschilismo, in tutto questo? Sì: una giovane donna non può permettersi di essere caotica, deve lasciarsi plasmare, “mettere a posto” dalla società. La ragazza impara in fretta, rispetto al ragazzo, a nascondere i suoi disagi, il suo senso di non allineamento. Quello che alla donna è sempre richiesto è di farsi carico delle relazioni, portandone i pesi maggiori. E Silvia, allora, sarà bravissima.

Se ne accorgerà anche Giordani, nel tempo, di quanto sia brava a mostrare una cosa e celarne un’altra.

"Ho aspettato venti secoli per rivelarmi a te. Se tu non mi ami, chi mi amerà?"

Questo è Gesù Abbandonato, lo Sposo, che parla a Chiara. E direi che una simile brava ragazza non poteva che meritarsi un premio: 2000 anni per trovare lei! Come vedremo, nessuno le riderà in faccia quando esprimerà una simile convinzione, anzi, troverà moltissimi pronti a sostenerla.

"Di Chiara fanciulla (allora ancora Silvia) ricordava quando rischiò la vita per una peritonite: "L'operazione era andata male, la davano per persa. Quando la mamma l'ha saputo, sai cos'ha fatto? E' corsa a casa a prendere l'acqua di Lourdes per fargliela bere. Chiara si è salvata per miracolo!" (Intervista a Carla Lubich, sorella di Chiara, in Mi chiamava cuccioletta, Città Nuova 27/08/2012)

Un episodio importantissimo, che compariva nella famosa storia per le gen 4, ma non era evidenziato più degli altri. Le vite dei fondatori iniziano spesso così, con una miracolosa sopravvivenza alla nascita. Mi viene in mente il famigerato Warren Jeffs, mormone fondamentalista, che era nato prematuro di due mesi, ma ricordo di avere sentito persino la "veggente di Trevignano" dichiarare a Bruno Vespa: "Ma lo sa che, quando sono nata, ero quasi morta?" La vita dalla morte, se non addirittura la resurrezione: se mi trovo ancora qui, Dio deve volere per forza qualcosa di speciale da me.
Anche i genitori del bambino "nato due volte" tendono ad essere particolarmente indulgenti con lui, a vederlo, per quanto si sforzino di essere imparziali, con un occhio diverso dagli altri figli: è un dono di Dio doppio. Questo potrebbe avere permesso, anche inconsciamente, che i familiari accettassero le fissazioni religiose di Chiara e le vedessero solo in chiave positiva. Da notare che, per l'operazione alla peritonite, la piccola Chiara non poteva bere, quindi la madre ha dimostrato spirito di iniziativa, ma anche disobbedienza alle prescrizioni dei medici, facendole ingerire dell'acqua di Lourdes. E anche questo è un comportamento che si nota nelle realtà "carismatiche": possono ostentare un enorme rispetto per le regole e l'autorità, ma, quand'è ora di agire, ritengono che le regole non valgano anche per loro.

Silvia poi, la domenica, frequentava le Suore di Maria Bambina, in preparazione alla prima comunione e alla cresima (Pentecoste 1927). A sentir Gino sarebbe stata una delle tante cristiane trentine se non fosse intervenuto «qualcosa d’altro». E qui si situa un episodio al quale la Lubich ha sempre attribuito «un valore simbolico e quasi l’inizio» di quanto le sarebbe accaduto. Affidata a una religiosa dell’oratorio di via Borsieri, suor Carolina Cappello, il giovedì veniva accompagnata con altre bambine a fare l’adorazione eucaristica nella chiesa del Santissimo. Fissando Gesù Eucaristia nell’ostensorio, gli ripeteva: «Tu che hai creato il sole che dà luce e calore, fa’ penetrare nella mia anima, attraverso gli occhi, la tua luce e il tuo calore»: quel calore dell’Amore di Dio e quella luce del Verbo che sintetizzano la spiritualità dei Focolari Più tardi, durante il quarto anno delle elementari, Silvia rischiò di morire per una appendicite degenerata in peritonite. E fu ancora suor Carolina, cui ricorse disperata la mamma Luigia, a far pregare la sua comunità per la guarigione della figlia. Che da allora cominciò "a conoscere la presenza del dolore nella vita e la possibilità di sopportarlo per amore." (Oreste Paliotti, La famiglia Lubich, quando Chiara era Silvietta, Città Nuova 22 gennaio 2020)

Ecco che la storia inizia già a darci delle sorprese: innanzitutto, il fratello Gino si dichiara comunista, quindi ci aspetteremmo che si disperi per le superstizioni del cattolicesimo, che hanno tanto plagiato la sorella; e invece è compiaciuto che lei sia così eccezionale in campo mistico. Purtroppo sua sorella non è una cristiana trentina qualunque, è sicuramente intervenuto qualcosa d'altro, ma lui e gli altri della famiglia non lo sanno riconoscere ed accettare. Meglio, allora, credere tutti a quello che sente lei.
E poi scopriamo che non è stata mamma Luigia a prendere l'iniziativa, nel miracolo della guarigione: c'è una presenza forte nella loro vita, Suor Carolina, che fa pregare per Chiara tutta la comunità. All'epoca i religiosi esercitavano una grande autorità sulle famiglie, che riponevano in loro la massima fiducia, affidando i propri figli, anche se l'educazione era spesso improntata ad un'ascetica non adatta alla loro età. Ai bambini veniva inculcata un'assoluta fedeltà, sottomissione a tutti i principi della Chiesa. Suor Carolina è, a sua volta, una personalità "carismatica"; ha per prima manipolato Chiara, fungendole da esempio?

La conclusione che Chiara tirerebbe, dopo essere sopravvissuta alla morte, "la presenza del dolore nella vita e la possibilità di sopportarlo per amore" non c'entra proprio nulla con l'episodio. Silvia non è stata salvata dalla sopportazione, ma dalla comunità che ha pregato per lei, sotto la guida della suora, e dall'iniziativa della madre, che ha scavalcato la scienza dei medici. Insomma, abbiamo già una leader, una madre ridotta al ruolo secondario e la piccola pupilla della leader.

Per quanto riguarda l'ostensorio, in un altro episodio Chiara ricorda di averlo fissato così intensamente da vedere nero e svenire. Non direi che si tratti di un evento particolarmente rilevante: i bambini fanno spesso di queste cose, per la voglia di fare esperimenti e per mettere alla prova le narrazioni degli adulti. Certo è che Chiara non vuole "la luce del Verbo", come sostiene Paliotti: la bambina associa luce e calore al sole, e vuole che sole e calore entrino nella sua anima dagli occhi, come se l'ostensorio emanasse dei raggi magici. E' svenuta perché si aspettava che accadesse veramente?

Naturalmente nella "Storia di Chiara" l'ostensorio dominava la scena; c'è, invece, un altro episodio che aveva proibito di raccontare alla sorella Carla, e che è emerso solo dopo la sua morte (Chiara controlla la versione dei fatti di Carla?).

«Comunque penso che avesse già in mente qualcosa, ma non sapeva cosa. Tant’è che un giorno, con questi dubbi dentro, è andata a pregare nella chiesetta di Santa Chiara, accanto all’ospedale dove Gino faceva l’assistente (è un episodio che lei mi ha sempre proibito di raccontare, ma ora forse posso dirlo). Era sola, e inginocchiata davanti al Santissimo ha chiesto un segno: “Se vuoi che faccia qualcosa, accendimi uno di quei lumini” (accanto al tabernacolo c’erano due lumini spenti). Come niente se n’è acceso uno che non aveva neanche l’olio.” (Oreste Paliotti, La "nostra Chiara", Città Nuova 5 febbraio 2009)

Perché Chiara proibiva alla sorella di raccontare questo episodio? Forse perché di miracoli ne bastano uno o due, per un certo tipo di leader carismatica? Una carismatica moderna, pragmatica, una solida montanara, centrata su valori essenziali: cosa sono queste sceneggiate, lumini che si accendono e si spengono?

Quando a Chiara viene attribuita un'esperienza mistica, si parla sempre di "visioni intellettuali". Che cosa significa? Ho trovato un domenicano, in un sito online che risponde alle domande dei lettori (https://www.amicidomenicani.it/potrebbe-aiutarmi-a-capire-cos-e-la-visione-intellettiva/).

Una "visione intellettiva", a quanto ci spiega "padre Angelo", è una visione che si produce nell'intelletto "senza la mediazione di un'immagine sensibile." Quindi siamo tutti rassicurati, Silvia non ha avuto apparizioni, niente eventi paranormali. Però rimane l'episodio del lumino, dove Gesù risponde tramite un "segno", materiale e tangibile. Se la sua biografia incomincia a riempirsi di strani eventi, forse la lettura del personaggio cambia. Forse ci troviamo davanti ad una personalità visionaria, sì, ma nel senso letterale del termine.

Ma anche ammettendo che le visioni di Chiara siano solo intellettive, non si tratta di una cosa molto semplice da gestire. Continua padre Angelo: "Nulla vieta tuttavia che talvolta possano essere accompagnate anche da quelle sensibili [le visioni vere e proprie]"; quindi un delirio potrebbe non essere riconosciuto, perché scambiato per i soliti "pensieri interiori".

Mentre le altre visioni scompaiono presto, quelle intellettuali invece possono durare molto": immaginiamo quanto sia destabilizzante, e a Chiara accadrà anche questo.
"Queste visioni sono legate all'esperienza dei doni dello Spirito Santo, della Sapienza e dell'Intelletto, o anche al carisma della Profezia. Difficilmente sono causate dal demonio": siamo a cavallo, se al delirio viene data la patente di visione intellettiva, chi lo potrà più mettere in discussione?

"Le visioni intellettuali non sono direttamente legate alla santità di una persona. Dio le potrebbe accordare a chiunque." Padre Angelo sostiene anche che a questo tipo di visione è associata una grande pace interiore; per Chiara, in realtà, non è così, le sue esperienze mistiche sono piene di inquietudine, ma cerca in ogni modo di mascherarlo.


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