Fabio Ciardi, Lacrime e stelle. Per una "autobiografia" di C. Lubich. Gli inizi, Città Nuova 2025
Ricordo che, anni fa, avevo letto una recensione di Città Nuova su una serie televisiva intitolata “Il bello delle donne”. La serie aveva dei contenuti piuttosto osé e pertanto, inevitabilmente, il giornalista aveva intitolato l’articolo “Il bello delle donne è il brutto della tv”.
Ebbene, mi ritrovo ora ad affermare, con un certo malincuore, che “Lacrime e stelle”, l’ultima fatica di Fabio Ciardi, è “il brutto dei Focolari”. Purtroppo rappresenta al peggio l’incapacità di questo movimento, che si candida ormai ad essere declassato come fenomeno settario, di confrontarsi con il mondo esterno e di cercare un dialogo sincero con esso. D’altra parte, se “Lacrime e stelle”, anziché l’usuratissimo “Stelle e lacrime”, appare a Ciardi un’inversione eccezionale, si capisce quanto sia difficile per i focolarini fare lo sforzo di scostarsi, anche di poco, dai solchi profondi su cui corre, immutabile, il treno della loro narrazione. Ma furono vere lacrime, e vere stelle? Uno scrittore pur cattolico come Manzoni, ad un certo punto, se lo chiederebbe. Possiamo, a tredici anni dalla morte di Chiara Lubich, tentare un bilancio reale della sua vicenda e di quella del Movimento? Non aspettatevi di trovare nulla di tutto ciò nella nuova biografia. Anzi, autobiografia; anzi: qualcos'altro.
Confesso il peccato: ho scritto un’agiografia che appare in libreria in questi giorni (domenica la presentazione a Roma). Un'agiografia! È un genere letterario con una sua lunga e gloriosa storia nella letteratura della Chiesa. È semplicemente la narrazione della vita di un santo «dominata e caratterizzata da intenti di edificazione – come sentenzia la Treccani – ma influenzata anche con sviluppi che ne hanno fatto una vera scienza criticamente fondata». È un peccato fare opera di edificazione e proporre un modello di vita? La proclamazione di una santità canonica non avviene proprio per proporre un modello? Altrimenti che santo sarebbe? (https://fabiociardi.blogspot.com/2025/10/confesso-il-peccato-ho-scritto.html)
Nessun peccato, abbiamo capito che ogni ordine religioso (padre Fabio Ciardi appartiene all'ordine degli Oblati di Maria Vergine) è solito raccontare storie edificanti sul proprio fondatore, ma quegli "sviluppi" indicati dalla Treccani farebbero pensare che, nel tempo, si sia abbandonata la tendenza ad infiorettare le storie con vere e proprie invenzioni, laddove il fine di edificare giustifica ogni mezzo. E' chiaro, ai frati e ai chierici, che si tratta di un comportamento eticamente discutibile? Dato che l'hanno fatto indisturbati per secoli, probabilmente no.
Ma, nel caso di Chiara Lubich, le cose si fanno nettamente più problematiche:
«Il 18 marzo 1996 (...) Chiara mi chiese se potevo preparare una raccolta di testi suoi. Mi diede già subito il titolo: Lacrime e stelle.
Chiara non ha mai scritto un’autobiografia (...) Tuttavia la sua “divina avventura”, come l’ha chiamata, l’ha raccontata molte volte, a persone diverse, in circostanze diverse. Ogni volta con sfumature differenti, con particolari nuovi. Ha lasciato appunti, diari, lettere, interviste... Raccogliendo scritti e conversazioni potrebbe davvero emergere una ricca biografia. (Fabio Ciardi, introduzione a Lacrime e stelle)
Insomma, siamo alle solite: è Chiara che ha commissionato un lavoro ad un suo fedelissimo collaboratore della Scuola Abbà, imponendone i contenuti al punto da decidere già il titolo. Perché non pubblica lei stessa? Per fingere una distanza che non c'è. Nella Chiesa esiste anche un cliché consolidato: quello della donna mistica che rivela la sua intimità ad un uomo religioso, un padre spirituale o un semplice segretario, ma in genere i rapporti sono all'esatto contrario. In quei casi la donna subordinata si racconta, quasi per un dovere, al suo superiore, mentre nel caso della Lubich è lei la leader spirituale, che Ciardi ha conosciuto come giovane seguace, ben prima di diventare suo collaboratore, e questo ha determinato un imprinting che non potrà mai superare.
Ecco come lo racconta il 4 luglio 1967 a un gruppo di bambine...
E qui è chi scrive che può testimoniare: Chiara aveva prestabilito già da tempo la sua autobiografia, e l’aveva inculcata alle gen 4, le bambine più piccole del Movimento, accompagnandola con una serie di illustrazioni della focolarina Gerta, se non erro. La "storia di Chiara", così codificata, è stata convertita in diapositive e diffusa in tutto il mondo nei “Pomeriggi della ragazza”: veniva mostrata alle bambine invitate come cuore della predicazione segreta dei Focolari. Dove sarebbe, quindi, la novità? Semplicemente a Ciardi va di lusso che la stragrande maggioranza delle bambine e ragazze degli anni ‘80 e ‘90 abbia lasciato il Movimento e che non sia qui a leggere, confrontare e sconfessare, come stiamo facendo noi.
Abbiamo, dunque, un'autobiografia su commissione che, però, per esplicita dichiarazione dello scrittore è anche un'agiografia. Insomma, è un AUTOAGIOGRAFIA, è la Lubich stessa che si sta santificando. E allora, padre Fabio, gliela riscriviamo così:
E’ un peccato fare opera di edificazione e proporre il modello della PROPRIA vita? La AUTOproclamazione di una santità canonica non avviene proprio per proporre un modello?
Direi proprio di sì: si tratta di un peccato di discreta superbia, che fa leva sul ruolo autorevole che la Lubich ricopriva nei confronti del biografo e del pubblico di lettori.
Una vita, quella di Chiara, costantemente rapita in un vortice di luce e d’amore, inabitata dal divino? Tutta luce e tutta amore?
Verrebbe da chiedersi chi senta ancora il bisogno di una storia del genere, ma evidentemente è così: l'idea che da qualche parte sia esistita quella super ragazza divina, che si gira sorridente a guardare dalla copertina (ma non voi, fateci caso) continua ad alimentare un pubblico di lettori. Concediamo a padre Fabio che si tratta anche di nostalgia dei bei tempi, quelli in cui si poteva ancora credere ad una storia del genere. D'altra parte, il "vortice di luce e d'amore" potrebbe rapire anche i lettori e distrarli da ben altre questioni, molto più prosaiche, che all'ennesimo ascolto della storia verrebbe voglia di affrontare.
Il 17 giugno 1973, in mezzo a prove e malattie, scrive nel diario: «Ho predicato a mezzo mondo che Dio è Amore», e ora «ho l’impressione che Dio mi abbia abbandonata. […] mentre prima tutto mi parlava dell’amore di Dio, adesso questi avvenimenti, queste prove così grosse me lo fanno scomparire. E non essere amata da Dio mi fa sentire un niente, uno zero che mi mette un nodo alla gola.»
E pensa a quelli che si sono sempre sentiti uno zero, magari per merito tuo, Lubich, anche quando predicavi loro Dio amore. Chi è, chi non è e chi si crede di essere una donna di 53 anni che scrive cose del genere? Che genere di "amore di Dio" sentiva, prima della crisi? Non lo capiremo neanche questa volta, se non cercando di interpretare tra le righe le sue affermazioni, che farebbero pensare ad una personalità affamata di esperienze estreme, che scambia la normalità per "sentirsi uno zero". E questo ci rimanda a molte cose, ma non esattamente alla santità.
In tutta la prima parte della storia non ci si schioda di un millimetro dalle diapositive del "Pomeriggio della ragazza". Non c’è verso di capire qualcosa in più sulla famiglia Lubich: perché Gino e Silvia sono così morbosamente legati tra loro, mentre le due sorelle minori sembrano sempre delle “arrivate dopo” e relegate ad un ruolo secondario? Che testimonianze hanno lasciato i quattro fratelli ai nipoti e pronipoti?
Manca qualunque lettura politica della guerra, che sembra caduta dal nulla sulle teste dei trentini, con un Gino che ha lo strano ghiribizzo di dedicarsi al comunismo, ma solo per un po’, separandosi in questo modo dalla sorella... Ad intendere che lei, come testimoniano altre fonti, frequenta ambienti ultracattolici di altro schieramento.
Continuano ad avere rilievo le ragazzate della Lubich con il professor Girolamo Gaspari (riscoperto e rivalutato un po’ anche per merito nostro), senza che Ciardi racconti l’altra metà della storia: nello stesso Liceo Rosmini era presente don Alfonso Cesconi, eminenza grigia dell'Azione cattolica e organizzatore dei propagandisti cattolici, di cui Silvia fa parte a partire proprio dai 17 anni, periodo in cui guadagna il sospirato “10” in filosofia. Sarà stato per timore suo, più che dell’innocuo Gaspari, che la ragazza continuava a ripetere “Non è vero!” ad ogni affermazione di presunto ateismo. L’unica novità di rilievo, a smentire una notizia falsa circolata da sempre (per un errore involontario, di sicuro...) è che Silvia si sia iscritta alla facoltà di Economia e commercio, e non di Filosofia, a Venezia, il che spiegherebbe meglio il suo disinteresse a proseguire gli studi.
Nel prosieguo del libro, finalmente, qualche concessione al realismo si intravvede: dapprima Chiara ha il suo incredibile successo all’interno del Terz’Ordine francescano, poi viene subissata dalle critiche; dal poco che sappiamo, le stesse che riceve oggi dagli ex focolarini. Il periodo di Piazza Cappuccini non è terminato con un trionfo, ma con una sconfitta: Chiara e Padre Casimiro Bonetti devono separarsi a seguito di pesanti accuse che riguardano, già allora, l’ambiguità del loro rapporto e forme di abusi spirituali praticati sulle terziarie francescane, come la gestione opaca degli stipendi. E così la Lubich si trasferisce a Roma non per fondare il Movimento dei Focolari, ma per aggrapparsi ad altre figure di religiosi (sempre uomini, particolare interessante) che ancora le offrono credito. Tra di loro, il discusso fondatore della Crociata (!) della carità Leone Veuthey, e padre Beda Hernegger di Regnum Christi, di cui ci sono notizie solamente nelle fonti focolarine. E qui si inserisce Igino Giordani, che la invita subito ad uscire... Per mostrarle la Basilica di San Pietro, s’intende!
In tutta la narrazione dell’indagine al Sant’Uffizio Ciardi continua ad accusare il Tribunale di essere di parte e di rimuovere qualunque testimonianza a favore di Chiara: non compaiono le prove di tutto questo. E le laceranti sofferenze di Chiara da cosa sono provocate? Dalla paura di perdere la dirigenza del Movimento; alla faccia dell’umiltà, come al solito, e con la solita incapacità di tollerare le frustrazioni. Da parte di una donna che non accetta la morte di Padre Tomasi, già anziano, il quale portava esageratamente acqua al suo mulino, insegnandole che qualunque cosa si permetta di contrastarla è una “notte spirituale”, dei livelli di San Giovanni della Croce. Grandi meditazioni nascono dalle straordinarie esperienze mistiche, o dalla fragilità psichica che la porta a deprimersi per una ingessatura, per la necessità di riposarsi senza andarsene in giro a predicare, per la nostalgia di casa? Cose che molti dei suoi focolarini, evidentemente meno santi di lei, avrebbero superato senza fare tante storie? E magari un salutare, seppur sporadico dubbio, che il Sant’Uffizio abbia un po’ di ragione, a giudicare da certe letterine alle amiche? Silvia Chiara Lubich si rilegge mai? Sì, ma riscopre sempre in se stessa roboanti segni dello Spirito, continuando ad autorafforzarsi nella convinzione di avere creato qualcosa... Di cui Ciardi ha promesso di non parlare, il fantomatico “Movimento dei Focolari”, che partecipa di tutta la sua vita, ma solo di riflesso. Un gigantesco gruppo di sostegno alla sua persona.
Ritornando al punto iniziale: fu vera gloria? Per padre Fabio la risposta è, assolutamente, sì, e calunniatori tutti coloro che non vi hanno aderito.
Tra tante lacrime, continuano a brillare anche tante stelle, come le Mariapoli.
Quindi le “stelle” sono le platee, i trionfi, i premi, non la tranquilla consapevolezza di essere amata da Dio, ANCHE SENZA CHE NESSUNO LO VENGA A SAPERE.
Ricordo che alle volte ero tutta fiamma. Anche se il fardello della mia umanità mi dava noia e avevo l’impressione di trascinare un peso. Allora, già d’allora, per grazia tua, capivo chi ero io e chi eri tu e vedevo quella fiamma come un dono tuo.
Il rapporto tra Chiara e Gesù non ha nulla di personale, è sempre vissuto in funzione del mondo esterno, della testimonianza che lei vuole dare, come se fosse perennemente su un palcoscenico. Lei la interpreta come una vocazione carismatica a fare la profetessa, ma cosa predica esattamente Silvia Chiara Lubich? Sul “come” predichi non abbiamo dubbi, alla fine del libro: è una semplificatrice geniale dei linguaggi cattolici e Gesù sta sempre dalla sua parte, ma per farle dire cosa? Truffe? Banalità adolescenziali? Nuovi dogmi ancora inesplorati? Verità assolute?
L’ “autoagiografia” termina, piuttosto bruscamente, con l’approvazione dell’Opera di Maria nel 1962; non senza dolori del parto, dato che impongono a Chiara di non presiedere da sola il Movimento, ma di dotarsi di elementari organi di governo collegiali. Ma a parte questo ce l’ha fatta, e tutto il resto è solo noia. Involontariamente, evitando di seguire la protagonista nella seconda metà della sua vita, quella di “cara leader” e responsabile del Movimento, Ciardi non fa altro che confermarci il disinteresse lubichiano per i suoi seguaci, che fanno solo numero e le portano “frutti”, celebrandola indirettamente con le loro imprese. Imprese comunque insufficienti a salvarla dalle sue “notti”, ma questa, appunto, è un’altra storia, che qualcuno preferisce ancora non guardare. Il titolo di questa autogiografia fa presumere che ci possa essere un seguito; vedremo se si tratterà dell'ennesimo elenco di premi e strette di mano, di lauree honoris causa collezionate in giro per il mondo, o se invece ci sarà il coraggio di leggere Chiara anche laddove lei non vorrebbe essere letta.
POST SCRIPTUM- UNO SPUNTO INTERESSANTE La presenza del nostro Movimento nella Chiesa vuol essere un po’ la presenza di Maria. Non è nulla. Siamo semplici fedeli al servizio della Chiesa, vorremo contribuire col nostro amore, non con la nostra dottrina, non con la nostra autorità che non abbiamo, ma col nostro amore che scatena in noi maggiormente Dio, che lo fa uscire da noi, che lo fa conoscere agli altri, aiutare la Chiesa che già è una con la Gerarchia, ad essere più una.
E dato che gli altri sono privi di una propria dottrina, ed hanno un amore che scatena scarsamente Dio, nell'Azione cattolica trentina nasce una certa avversità nei confronti del Terz'Ordine francescano, diretto nel ramo femminile proprio da Silvia Lubich. Fabio Ciardi dà questa interpretazione:
Quasi un conflitto tra carisma e istituzione, si direbbe oggi.
Insomma, i burattini dei vescovi contro i burattini della carismatica? Una storia di giovani donne che devono stare "a disposizione" dalla parte giusta, o piuttosto due approcci alla fede molto diversi? Sarebbe interessante recuperare il punto di vista di Azione Cattolica, in questa vicenda.
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