Nulla- Parte IV , "Inesistenza"


  

È possibile che il pensiero di Chiara Lubich in passato sia stato interpretato male, l’esperienza del Paradiso del ‘49’ è un’esperienza mistica e va capita nel modo giusto e noi stessi come Movimento a volte l’abbiamo interpretata male (…) è possibile siano state effettuate delle deformazioni del pensiero di Chiara Lubich (…); è giusto compiere una autocritica e porgere le nostre scuse alle vittime, se ci sono stati dei comportamenti inappropriati. Lo sta facendo anche la Chiesa. A volte è stato interpretato e applicato male il pensiero di Chiara: l’essere nulla di cui Chiara parlava non vuol dire oppressione della libertà, annullamento e svuotamento psicologico, ma significa non essere pieni di sé stessi. Nell’unità, se non c’è libertà e carità, si vive in un inferno. (…) l’interpretazione errata di Chiara ha causato delle esperienze traumatiche all’interno del Movimento. Questo ci addolora moltissimo e chiediamo perdono, dal profondo del nostro cuore». (Margareth Karram, intervista a Paola Belletti del 27/09/2021 per https://it.aleteia.org/2021/09/27/margaret-karram-focolari-parole-del-papa-custodire-e-correggere/)

Essere pieno di sé: essere vanitoso, presuntuoso, avere troppo alta stima delle proprie capacità, dei proprî meriti, del proprio valore (Treccani)

Margareth Karram, Presidente del Movimento dei Focolari: è inutile che lei colpevolizzi ipotetiche schiere di focolarini che, in passato, hanno interpretato male il pensiero di Chiara Lubich. Chiara Lubich non è stata interpretata in modo errato, si è sempre espressa benissimo: il suo "essere nulla" non ha a che vedere con l'essere vanitosi e presuntuosi, anche perché, per condannare la superbia, è più che sufficiente l'insegnamento tradizionale della Chiesa nei secoli. 

Quello che Chiara Lubich intendeva è proprio la rinuncia alla propria personalità, un annullamento totale di se stessi, per fare posto a Dio. Come vedremo, "Gesù in me" è la vera personalità dell'uomo, e la vera unità si può realizzare solamente quando tutti i soggetti coinvolti in una relazione diventano nulla. E' il nulla che permette all'Eucarestia di funzionare, il nulla di amare il fratello nel modo giusto, il nulla di ricevere le intuizioni dello Spirito. Dal nulla dei singoli "cuori" nasce Gesù in mezzo, che porta la gioia perfetta, quella gioia che nessuna esperienza umana può restituire. La vita del Paradiso in terra. 

E se ciò non accade? Interessante la frase che la Karram tira fuori spontaneamente: "Nell’unità, se non c’è libertà e carità, si vive in un inferno." La giornalista che raccoglie le sue dichiarazioni non può sapere che "nell'unità" significa "nell'esperienza quotidiana della vita di focolare"; ed è probabile che anche Margareth, come ciascuno di noi, ne abbia fatto la terribile esperienza, almeno una volta.  

«Dio crea anche in questo momento, legando gli esseri con l’amore: noi possiamo partecipare al suo atto creativo se siamo nell’amore reciproco. Se invece non amiamo, Dio non ci vede, non esistiamo per lui». La chiama la quarta dimensione, un principio non di uguaglianza, ma di armonia. (Giulio Meazzini, L'eredità di Piero Pasolini, Città Nuova 8 giugno 2017)

Piero Pasolini, che io sappia, ha avuto una sua personale "intuizione" su quella che considera la vera relazione dell'uomo con Dio, e da subito l'ha posta nel segno della dicotomia: si passa dal "partecipare al suo atto creativo" al non esistere nemmeno per Lui. La via di mezzo non esiste. E l'impressione che rimane, soprattutto ad un profano, è che nessuna delle due cose sia particolarmente in linea con la dottrina della Chiesa e, soprattutto, che nessuna delle due cose sia particolarmente sana. Diventare Dio Creatore vivendo l'amore reciproco: meno male che non si doveva essere "pieni di sè!" Per non parlare della crudeltà con cui questo Dio nemmeno si accorge dei suoi esseri, quelli che dovrebbe amare, se essi non amano. Non fa piovere una colata di fuoco, come il dio di Sodoma e Gomorra; "Non ci vede". Ancora una volta, attua la punizione dei narcisisti, ignorare, negare, sottrarre all'improvviso tutto l'affetto. 

Creatura tutt’amore, ella amava però solo Dio “Mi amo demò Gesù” (io amo solo Gesù) mi rispose una volta che gliene domandai, e quindi nella verità. Si poteva essere con lei intimi quanto si volesse, all’occorrenza ella diceva la verità, anche se amara. Solo che la diceva con carità. Riferendomi a questo suo comportamento, a me pareva che verità e carità fossero i due volti di una stessa realtà. (Igino Giordani, Storia di Light) 

Qui sì che Igino Giordani si è espresso da grande scrittore: in questo ritratto di Chiara convive una tale ambivalenza da farci capire che il nostro ha centrato l'enigma della sua persona. Cosa le ha chiesto esattamente, per tirare in ballo l'amore per Gesù? Non è risaputo che è il suo unico Sposo? Per caso Igino voleva sapere, una volta per tutte, se nel cuore di Chiara ci fosse posto per qualcun altro? Ce ne sarebbe abbastanza per capire perché lei si ritrovi ad essere scombussolata e scontenta. 
Ma se, invece, Chiara ed Igino hanno semplicemente disquisito di Ideale e teologia, come sostengono di fare in ogni loro conversazione, la dichiarazione di lei assume una dimensione inquietante, colpisce affilata come una lama di rasoio.
"Io amo solo Gesù: non amo mia madre, mio padre, le mie sorelle, le pope, i popi, te, Foco, il vescovo, gli Alvino, Chiaretto, gli aderenti... Non amo nessuno di voi. Solamente Gesù." Solo che lo dice con carità.
Chiara che con amore confessa a Foco di non amare è un capolavoro di nichilismo difficile da raggiungere. "A me pareva che verità e carità fossero i due volti di una stessa realtà." E' vero. Igino percepisce distintamente la vera natura di Chiara, eppure è incapace di staccarsi da lei, di prenderne le distanze. 

L'uomo è assetato di compagnia. Per questo cerca l'amicizia e, alle volte, qualsiasi amicizia. E anche quando è ammalato di misan­tropia, cerca in fondo la compagnia di se stesso, o dei suoi libri, o della sua stanza, o della sua solitudine: perché l'animo umano è fatto per amare. L'uomo trova degli amici, si lega a dei compagni, e fra essi vi è anche chi più difficilmente lo possa ingannare: l'a­more della madre, del padre, dei figli, della moglie. Egli però molto spesso s'aggrappa ad essi e cerca nel loro conforto l'appoggio per camminare.
E viene, allora, per quasi tutti, l'ora del distacco.
La Provvidenza suprema di Dio, che ama senza dar illusioni, scava dei vuoti, che sembrano, all'occhio adombrato dell'uomo, vuoti crudeli. Si spegne nella morte il più caro amico o il più vicino parente. Allora, sotto quella scossa, ci si ravvede. Si sposta, almeno per il momento, l'obiettivo della propria anima, s'introduce Dio nella scala dei valori, si dà bando alle vanità, si dimenticano i diver­timenti e ci si riequilibra nel «porro unum». Il dolore ha attratto l'anima nel vortice della verità tremenda, ma bella, irresistibile, suprema e consolante, per chi ha il coraggio di guardarla in faccia.
Tutto cade, Tutto è vanità. E, camminando su questa terra, si comprende ben presto e bene: che passa in fretta la scena di questo mondo...
Solo chi, al di là del tutto, si rivolge a Te, Signore, e, osservando le Tue parole, Ti cerca dietro la croce, non resta ingannato. (Chiara Lubich, Meditazioni, Città Nuova) 

Ecco il tono scontento di "Meditazioni" e di nuovo la tendenza ad estremizzare: se uno ama stare nella sua stanza e leggere i libri, è addirittura “ammalato di misantropia”, però è anche “assetato di compagnia”: non esiste “annoiato”, “stanco”, “tranquillo”, “malinconico”, “riflessivo”, non esiste che uno voglia starsene da solo mezz'oretta e poi scambiare due chiacchiere cortesi con qualcuno… Strano anche che Chiara si stupisca del fatto che un individuo ami se stesso, come se "se stesso" fosse un elemento diverso da sé, un estraneo che le abita dentro. E chi dovremmo "amare", se non noi?

L’idea che la “Provvidenza divina” faccia morire le persone per convertire i superstiti non mi stupisce: più si soffre, più si viene presi sul serio, e Dio si compiace di distruggere la sua creazione per esaltare la propria gloria. Tolti di mezzo amici e parenti, ci si aspetterebbe che Chiara elabori un pensiero del genere: l’uomo “sopravvive alla perdita riscoprendo Dio”, “Si rivolge a Dio e trova un conforto, anche se è impossibile superare quel dolore”; invece no, “SI RAVVEDE”, come se amare i più intimi famigliari fosse stato un peccato. “Almeno per il momento”: non va neanche bene che la gente rielabori il lutto e torni ad una vita più normale, di questo Chiara è profondamente delusa. Vorrebbe che  rimanessero nel dolore.
Quando i famigliari erano vivi, “Fra essi vi è anche chi più difficilmente lo possa ingannare”: quindi Chiara ha una visione strumentale dei parenti, percepisce la loro morte come un inganno, una ferita che viene inferta a lei, e preferisce disfarsi di loro da subito, a livello emotivo. Se è così, siamo di fronte ad un caso di narcisismo perverso; ecco spiegato perché tanti, attorno a Chiara, si sono sentiti trattati male, pur dovendo riconoscere, come Giordani, che "la diceva con carità".

E poi compare il Nulla.

La verginità gradita a Dio non sta solo nella verginità fisica, ma in quell'atteggiamento spirituale che è "inesistenza" per sé, onde esser tutti sempre per Dio. È la trasparenza di Maria che mai pensò a Sé ma solo a Dio, a Cristo ed alla Chiesa, Corpo mistico di Cristo. (Chiara Lubich, Diario, 31 ottobre 1968)

Come fa, Chiara, ad essere sicura che Maria non abbia mai “pensato a sé”? Certo, Maria è l’unica creatura al mondo senza peccato, quindi ne deduciamo che pensare a sé sia un peccato. Convinta di averla riscoperta, e di dedicarle il più grande tributo che Ella abbia mai ricevuto, Chiara trasforma la povera Maria in una creatura completamente astratta, privandola di qualsiasi corporeità: la paragonerà, in una serie di meditazioni suggestive, ad una pianta che subisce l'impollinazione, al cielo che contiene il dio-Sole... Insomma, Maria diventa un pensiero metafisico. 

Ma cosa significa, precisamente, “pensare a sé”? Nella lingua italiana può essere una perifrasi per significare “essere egoisti”, al che si può accettare l’idea che Maria non sia mai stata egoista in vita sua. “Pensare a sé” può voler dire anche, più alla lettera, che noi siamo l’oggetto del nostro pensiero: è importante conoscere noi stessi, la persona con cui dobbiamo convivere, e quindi sentiamo spesso il bisogno di ricordare il passato, di riflettere sui nostri gusti, di fare dei bilanci, di fantasticare sulle cose che vorremmo fare… Chiara Lubich mira ad eliminare tutto questo.

“Trasparente”, nel linguaggio comune, è una persona che non nasconde agli altri nulla di ciò che pensa, di ciò che ha dentro di sé; per Chiara, al contrario, significa che la persona non “trattiene” nulla di ciò che le arriva dall’esterno, e di suo non ha nulla da dare. Insomma, ad un focolarino una cosa entra da un orecchio ed esce dall’altro, non ha istruzione, non ha memoria, non ha sentimenti duraturi. Non appena il sentimento prende forma, lo rimuove. Essere vergini significa “essere privi di esperienza”: una condizione transitoria, in genere associata alla giovinezza, perché gli uomini hanno bisogno di imparare e di sperimentare, per crescere. Chiara vuole fermare esattamente questo processo.

Potremmo dire che si tratta di pratiche spirituali estreme, come quelle dei fachiri, scelte da pochi individui eletti. Che i focolarini e le focolarine si consacrino pure all’inesistenza, se è umanamente possibile.

Peccato che Chiara incominci ad usare simili termini, e a tirarne fuori di peggiori, per comunicare alle masse. Ai bambini, a persone che, in teoria, la seguono perché interessate alle opere sociali, a religiosi e sacerdoti che seguono altri carismi… La “Parola di vita” è un foglietto che arriva in tutte le case, e viene distribuito gratuitamente nelle parrocchie italiane. Ai tempi d’oro le mani anonime dei seguaci lo lasciavano ovunque, come un volantino propagandistico, anche in ambienti laici, come una biblioteca, o lo studio di un medico. C’è un indirizzo da contattare, scritto in piccolo sotto: naturalmente è l’aggancio per fare proseliti.



Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.

Anzitutto, secondo Gesù, vi è un mezzo sovrano di purificazione: "Voi siete già mondi in virtù della Parola che vi ho annunziato" (Gv 15,3). Non sono tanto degli esercizi rituali a purificare l'animo, ma la sua Parola. La Parola di Gesù non è come le parole umane. In essa è presente Cristo, come, in altro modo, è presente nell'Eucaristia. Per essa Cristo entra in noi e, finché la lasciamo agire, ci rende liberi dal peccato e quindi puri di cuore. Dunque la purezza è frutto della Parola vissuta, di tutte quelle Parole di Gesù che ci liberano dai cosiddetti attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade. Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell'invocazione del Salmo che dice: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene!" (Cf Sal 16,2). Proviamo a ripeterlo spesso, e soprattutto quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore verso quelle immagini, sentimenti e passioni che possono offuscare la visione del bene e toglierci la libertà. Siamo portati a guardare certi cartelloni pubblicitari, a seguire certi programmi televisivi? No, diciamogli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene" e sarà questo il primo passo che ci farà uscire da noi stessi, ri-dichiarando il nostro amore a Dio. E così avremo acquistato in purezza. Avvertiamo a volte che una persona o un'attività si frappongono, come un ostacolo, fra noi e Dio e inquinano il nostro rapporto con Lui? È il momento di ripeterGli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Questo ci aiuterà a purificare le nostre intenzioni e a ritrovare la libertà interiore. (Commento alla Parola di vita del 25 ottobre 1999)

Ed ecco che il Nulla incomincia ad inghiottire tutto, come nella “Storia infinita” di Ende: immagini, sentimenti, passioni, cartelloni pubblicitari, programmi, ma anche persone, attività… Notare ancora una volta l’ambiguità del linguaggio: la proposizione relativa “che possono offuscare” ha valore restrittivo (“Solo quelle immagini che possono offuscare”… Quindi ce ne sono altre che vanno bene e si possono vedere)? Oppure ha valore causale (“perché possono offuscare”… Quindi qualunque immagine)? E, soprattutto, il linguaggio di Chiara è talmente generico da non riuscire a farci capire esattamente quali immagini, soprattutto quali persone dovremmo allontanare dalla nostra vita. Quale persona può essere un ostacolo tra noi e Dio? Oltretutto, in una spiritualità che si vanta di arrivare “a Dio attraverso il prossimo”.
Immaginate quant’è brutto sentirsi dire: quella persona ti fa stare bene, ti è molto a cuore, ma è un attaccamento, la devi allontanare dalla tua vita. E' successo centinaia di volte, nella storia dell’Opera di Maria.

E non temete di cedere tutto all’unità; senza amare… Oltre ogni misura, senza perdere il giudizio proprio, senza perdere la propria volontà, i propri desideri non saremo mai uno! Sapiente è chi muore per lasciare vivere in sé Dio! E’ l’unità la palestra di questi lottatori della vita vera contro la vita falsa… (Michel Vandeleene, Io il fratello Dio nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova)

Non solo si può vivere senza esistere, ma chi non lo fa vive una “vita falsa”. Qualcuno dirà: lasciamoglielo credere, tanto, alla fine della fiera, ciascuno vive come può, la vita viene come viene, e non è certo il Focolare che può sindacare nelle esistenze di tutti. Ma la lista degli abusi denunciati, da tutte le parti del mondo, sta incominciando ad allungarsi, quindi ne deduco che il discorso possa essere sul serio pericoloso.

“Oltre ogni misura”: è spianata la strada per esaurirsi mentalmente e fisicamente.
“Perdere il giudizio” significa che non è bello giudicare male le persone… O che il focolarino arriva a non avere nemmeno delle CATEGORIE MENTALI per giudicare la realtà? Ad esempio: sa riconoscere se qualcuno gli sta mentendo? Se le persone sono mosse da sentimenti momentanei, che passeranno, o se stanno coltivando delle convinzioni profonde? Se dicendo una cosa intendono dell’altro, che non è esplicito? E, soprattutto: sa aiutare veramente il prossimo, se non se ne intende di nulla?
Non parliamo nemmeno dei desideri. Chiara dimostra qui una notevole ignoranza: ciò che si reprime, prima o poi, esplode; accade anche a lei, ma non vuole ammetterlo.

Cos’è il Collegamento CH?
Quando. Nasce nel 1980. È l’11 agosto, festa di S. Chiara d’Assisi. Quel giorno, nel suo onomastico, Chiara Lubich si trova in Svizzera insieme a una manciata di persone che le fanno gli auguri: è una festa di famiglia. Si crea una comunione profonda.
Chi. Nei giorni seguenti, dalla stessa casa di Chiara, si attiva una catena di telefonate per alimentare la realtà percepita di essere “un unico focolare”. Si aggiorna delle nuove scoperte nel vivere con intensità la spiritualità dell’unità e delle notizie che giungono dal mondo.
Come. In quei giorni si scopre l’esistenza in Svizzera del servizio “conferenza telefonica collettiva” e se ne fa subito uso. Tale collegamento, nelle settimane successive, si estende ad altre nazioni, fino a raggiungere tutti i Paesi dove sono presenti comunità dei Focolari.
Perché. Nel tempo e con il veloce evolversi delle telecomunicazioni, si passa dalla conferenza telefonica allo streaming e al satellite, perché, affermava Chiara, “un’Opera, che ha per ideale l’unità”, una famiglia “disseminata ormai su tutto il pianeta” deve condividere “tra tutti, con i mezzi più rapidi e adeguati”, “gioie, dolori, speranze, progetti”, sperimentare “l’amore che va e che torna”, fare insieme il viaggio, “il santo viaggio” della vita.
Per un mondo unito. Si fa l’esperienza forte e gioiosa dell’“unità e dell’universalità” che lega centinaia di migliaia di persone, sparse nei cinque continenti, orientate alla fratellanza universale. (da https://www.focolaritalia.it/events/collegamento-ch/)

Per la verità la conferenza telefonica viene offerta gratuitamente a Chiara, così come le accade in continuazione, mentre in questa fonte sembra che sia lei ad attivarsi per ottenerla. Non la sfiora il pensiero che, al centro della straordinaria esperienza di unità, ci sia una banalissima volontà di farle gli auguri, di farle festa (è giù di morale?) come accadrebbe in qualunque comunità? E, soprattutto, quella gara a telefonarle nei giorni successivi, per comunicare "aggiornamenti", non potrebbe essere una gara ad adularla per entrare nelle sue grazie, dato che presiede saldamente il Movimento? 

Il "collegamento CH" si ufficializza e diventa mensile o quindicinale. E così, un sacco di bambini e di ragazzini partecipano alla telefonata in diretta, attirati soprattutto dalla prima parte del collegamento, nella quale Eli chiama uno dopo l'altro i vari focolari, nominando ogni punto del globo: "Fontem (Camerun), ci siete? Mariapoli Luminosa (New York), ci siete? " Fanno eco voci un po' distorte, anonime, quasi sempre tutte uguali: "Sì, Chiara, siamo tutti qui con te!" Dopo un interminabile giro, Eli annuncia: "Ora vi passo Chiara"; l'emozione è palpabile. E Chiara, con la sua voce spesso tremula, inizia a leggere affermazioni allucinanti come questa:


Sierre (CH), 16 settembre 1982

Sì a Gesù, no al nostro io

Carissimi, "Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo" (Mt 18, 8). Nei giorni scorsi, leggendo una pagina meravigliosa delle sue lettere, mi è parso di capire come Paolo, l'Apostolo, vivesse personalmente i tagli di cui parla Gesù. Dopo aver invitato i cristiani ad imitare gli atleti, che fanno tanti sacrifici per conquistare una corona, parlando di sé, afferma: "Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato" (1 Cor 9, 27). Avverte il desiderio, sente la spinta, l'esigenza di essere di esempio per tutti e per questo – come dice – tratta duramente il suo corpo e lo trascina in schiavitù. E' ciò che dobbiamo fare noi col nostro io. Si sta ribellando alla volontà di Dio? Non vuole lavorare come si deve, studiare a modo, pregare con attenzione, accettare con amore qualche situazione un po' pesante, forse dolorosa? Vorrebbe svincolarsi da quell'amore che si deve al prossimo? Parlar male di qualcuno, non aver più pazienza con un altro, giudicarlo, vendicarsi almeno un po'? E' il momento di trattare duramente noi stessi, di dir di no senza compassione al nostro io. Dir di no, di no, di no; dieci, venti volte al giorno Ma noi sappiamo che c'è un modo tipicamente nostro per dirgli di no non soltanto dieci, venti volte al giorno, ma tutto il giorno. E quello di dir di sì a Gesù, alla sua volontà, di dir di sì ai prossimi, in tutto, tranne nel peccato, dir di sì sempre, sempre con tutto il cuore. Questi sì a Gesù sono un solenne no al nostro io. Con questi sì a Gesù non lasciamo spazio al nostro io, lo rendiamo schiavo. Questi sì a Gesù sono la tomba del nostro io. E allora, in questi quindici giorni diciamo sempre si a Gesù nell'attimo presente e, se qualcuno in noi si ribella, rendiamolo schiavo con un bel no. Sì a Gesù, no al nostro io. (Chiara Lubich 1 C. LUBICH, La vita, un viaggio, Roma 1987 (prima ed: 1984), p. 65-66.)


Ovviamente i messaggi dei "Collegamenti CH vengono pubblicati a più riprese, trasmessi e meditati più di ogni altro testo della Lubich, più delle Meditazioni e degli scritti "esoterici".
Circolava voce, quand'ero una gen, che un ragazzo si fosse tagliato sul serio la mano, per applicare alla lettera la frase di Gesù. Non è una leggenda metropolitana: c'era stata la grande corsa, consueta nel Movimento, a ripulire tutto e a far sparire le tracce della notizia. Che girava con il solito telefono senza fili interno.
Immaginate cosa possono capire dei ragazzini nel sentirsi dire che il nostro io diventa "schiavo", che "I sì a Gesù sono la tomba del nostro io" ("Gesù" e la "tomba" nella stessa frase danno proprio una bella immagine del nostro Messia, direi), il fastidio che può dare quell'insistenza a ripetere la parola "no", come fa una mamma con i suoi bambini (questo Io è "cacca", non lo devi toccare), l'ossessione di quel "tutta la giornata". E gli adulti? Ammesso che ce ne siano, in una comunità del genere... "Se qualcuno in noi si ribella, rendiamolo schiavo con un bel no". Qualcosa mi dice che quell'"in noi" può sparire facilmente, e la frase diventa: "Se qualcuno si ribella, rendiamolo schiavo con un bel no". Per l'appunto, come trattando i bambini.

Esser uno col fratello voleva dire dimenticarsi assolutamente, per sempre. Non ritrovarsi mai più. Era perdere tutto anche la propria anima, per vivere i dolori e le gioie dell'altro onde mostrare a Gesù il nostro amore: esser crocefissi con Lui vivo nel fratello e con Lui esser gioiosi. Il fratello era il nostro convento dove l’anima doveva sempre radunarsi. Il fratello era la nostra penitenza, le mortificazioni, perché l’amarlo richiedeva la morte completa dell’Io... (Da Erano i tempi di guerra, agli albori dell’Ideale dell’unità, Città Nuova, Roma 2007, p. 2)

“La morte completa dell’Io”: dal “non esistere” siamo passati alla "schiavitù dell'Io", con il riferimento alla "tomba", per approdare alla “morte” dell’Io, quindi ad un linguaggio sempre più duro, che implica un’idea di violenza. “Morte” significa che prima l’Io era vivo, quindi, di fatto, Chiara si sta augurando di compiere una strage. Quale afflizione dev’essere, per un focolarino, sentirsi dire: “Ti devi mettere a morire!” e arrivare a pensare: “Sono morto dentro.”

E sarà felice il fratello, nel sapere che stiamo con lui perché è la nostra penitenza! In realtà, veniamo a scoprire che Padre Casimiro, quando le ragazze vivevano in Piazza Cappuccini come terziarie francescane, imponeva loro di fare severissime penitenze, secondo la tradizione dell'epoca: digiunare, infilare sassolini nelle scarpe, mettere gocce di assenzio nelle bevande. Sarebbe per liberarsi di una simile costrizione che Chiara avrebbe tirato fuori per la prima volta la frase "il fratello è la nostra penitenza". Chiara scappa dal convento, con le sue penitenze, ma solamente per questo va incontro ai fratelli, in una piena ottica di strumentalizzazione. Salvo poi rimanerne annoiata, se non addirittura disgustata. 

Si diceva già ai primi tempi: ci sono due modi per avere una stanza pulita: o scopare quella in cui noi siamo o cambiare stanza. E si avvertiva che questa era la nostra linea: cambiare stanza, e cioè non vivere più noi, ripiegati su di noi, ma vivere gli altri, i prossimi per amarli. (Michel Vandeleene, Io, il fratello Dio, Città Nuova)

Ricostruisco il contesto: Chiara sta sostenendo di avere generato una “spiritualità collettiva”, che, in sostanza, è molto meglio delle altre spiritualità, “individuali”. Pulire la stanza equivale al lavoro dell’ASCESI, quando l’individuo si mortifica per purificarsi e arrivare a Dio. Chiara invece vuole seguire la MISTICA, che prevede l’arrivo a Dio in modo non graduale, ma immediato, attraverso uno slancio d’amore. Non impone il cilicio, come l’Opus Dei, ma ben di peggio: la morte completa dell’Io; non solo l’Io malvagio, ma anche quello buono e creativo.

Andare nella stanza dell’altro è uno spostamento nomade, perché il focolarino non deve avere attaccamenti per persone di sorta. Non sei egoista, ti occupi degli altri e vai nella loro stanza: ma intanto la Stanza-Io è rimasta sporca, sei rimasto immaturo, non hai lavorato su te stesso. E la Stanza-Altro? Siamo sicuri che tu abbia la capacità di capire come amarlo veramente, se non coltivi la tua intelligenza e non hai esperienza del mondo?

Fare la volontà di Dio, solo quella e non altro. E ciò significa fare bene, per intero, in ogni momento quell’azione che Dio ci chiede. Essere tutti lì in quell’opera, eliminando ogni altra cosa, perdendo pensieri, desideri, ricordi, azioni che riguardano altro. Parlare, telefonare, ascoltare, aiutare, studiare, pregare, mangiare, dormire senza curarci di nient’altro; fare azioni intere, pulite, con tutto il cuore, la mente e le forze. È questo il modo di amare Dio. (Chiara Lubich, Ogni momento è un dono, Città Nuova)

La precarietà non è solamente spaziale, ma anche temporale. La Volontà di Dio dovrebbe portare il santo alla gloria, ma non è ben chiaro quale sia il progetto di vita che permette di giungere a grandi cose. Meglio concentrarsi su una serie di azioni quotidiane, come in un continuo navigare a vista. 
Chiara fa sempre quello che le richiedono altre persone, per accontentarle (basandoci sulle sue esperienze di vita reale, sappiamo che ha vissuto all’esatto contrario, imponendo sempre ai popi la propria volontà, ma continuiamo a seguire il suo ragionamento). Non usa la razionalità per valutare le cose da fare, “accoglie” tutto dall’esterno.
Tutte le azioni hanno la stessa importanza: le fa tutte senza pensare, e quindi senza sceglierle o preferirle. Questo è il nichilismo vero. 

E poi ecco la mania delle azioni “intere, pulite”, come se il massimo affronto, per Dio, fosse fare una cosa pensando anche ad un’altra. Ma che problema c’è? Perché è sempre così preoccupata che i suoi popi vaghino con la mente?
“Essere tutti lì in quell’opera, eliminando ogni altra cosa, perdendo pensieri, desideri, ricordi, azioni che riguardano altro.” Questa parte della meditazione può avere conseguenze terribili, se viene letta male, ad esempio, da un figlio. Il figlio vuole essere sempre nella mente dei suoi genitori, in particolare, se è un bambino, ha bisogno di sentirsi pensato, “contenuto” da loro. Chiara sta dicendo che il genitore, quando avrà finito di trascorrere del tempo con lui, si dimenticherà del proprio figlio, per passare a concentrarsi su altro. Usa un verbo fortissimo, “eliminando”, seguito da un elenco che comprende anche i “desideri”: mio padre, mia madre, smetteranno di desiderarmi! Per fare cosa, telefonare, parlare a delle altre persone che magari conoscono appena?

Le cose ci possiedono, imponendoci di amarle in modo assoluto perché vengono da Dio, e poi spariscono nel nulla, eliminate, e poi magari ritornano, e poi spariscono di nuovo e ne arrivano delle altre… Chiara era orgogliosissima di questo modo di vivere, e auspicava che facesse anche perdere la cognizione del tempo (“vivere solo nel presente”). Ricordiamoci che "Ogni cosa dice a sè: Nulla son" . Siamo Nulla a perenne servizio del Nulla. A livello di stabilità emotiva, affettiva, è devastante, soprattutto per un individuo in formazione. 

Incisa Valdarno, 15 maggio 1987 ai sacerdoti e ai religiosi delle Scuole di Loppiano
Trascrizione non integrale ad uso interno del Movimento dei Focolari

“Io, tante volte, facendo l'esame di coscienza, sento più una mancanza, forse per la mia formazione, il non aver, per esempio, pregato, il non aver assolto ai miei doveri personali verso Dio che non la mancanza anche di unità. Almeno questo lo sentivo prima di venire alla scuola, qui alla scuola sta un po' cambiando questo; sento anche forte questa mancanza di unità. Se puoi dirmi come mai succede questo, no? E poi come conciliare anche, da una parte questo desiderio di unione con Dio personale e dall'altra l'unione con i fratelli che a volte mi sembra quasi si escludono a vicenda, a volte mi sembra, no? […]"

Chiara: […] A me sembra questo: che *** sta passando da una spiritualità individuale a una spiritualità collettiva, cioè lui viene dal mondo da cui siamo venuti tutti, dal mondo spirituale da cui siamo venuti tutti, se eravamo buone creature, brave creature, bravi cristiani, bravi preti, loro. Tutti eravamo così, ma l'Ideale porta proprio una rivoluzione in questo, proprio nel modo di vivere il cristianesimo, perché prima di tutto la mutua, continua carità e se tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia l'offerta all'altare e riconciliati prima con il tuo fratello, nel senso che noi quello che abbiamo capito e che tutti capiscono quando incontrano l'Ideale è che bisogna mettere a base della vita, a base della preghiera, prima... perché appunto Gesù ci dice, anche il Padre ci dice: prima di venire da me riconciliati con tuo fratello, prima devi avere l'unità con il tuo fratello. Quindi non è... Come prima domanda dice: io non sento tanto il peccato…, non lo senti adesso, lo sentirai più tardi. Sai, ieri io ho avuto l'occasione di parlare con un gruppo di persone. A un dato punto una persona sbagliandosi, ha fatto un pelo di disunità, ha dato un giudizio, così. Tu avessi visto il tormento di questa persona tutto il tempo, è dovuta uscire fuori, mettersi d'accordo con Gesù, io credevo che fosse andata a bere un goccio d'acqua, e invece è andata a mettersi d'accordo con Gesù, è venuta dentro, ha fatto l'unità, c'era Gesù in mezzo e abbiamo concluso le cose bene, positivamente. Ti diventerà la mancanza, questa mancanza qui di Gesù in mezzo che adesso ti pare secondaria mentre è molto grave il non aver pregato, il non aver, non so, fatto i tuoi doveri, ecc., ti diventerà un tormento tale, con l'andare degli anni, degli anni, occorrono anni, occorre decenni, che tu non riesci più a vivere se non hai Gesù in mezzo, e questo è la virtù che subentra, la virtù del vero cristiano, il quale prima di tutto è comunione, come lo dice tanto il Concilio, come lo dicono tutti questi Sinodi dei vescovi, prima di tutto è comunione. Ante omnia, adesso non si traduce così, ma una volta era prima di tutto la mutua, continua carità, prima di tutto la mutua, continua carità. Però adesso non è che la mutua, continua carità - e qui veniamo alla seconda parte della risposta - impedisce perché magari l'amore dei fratelli impedisce che tu preghi, oppure che tu ti prepari una predica o che vai… ecco. Non è che questo ... basta averla come base, basta che tu in coscienza dica: io non ho niente contro don Giò, contro l'altro, contro l'altro e neanche gli altri hanno niente contro di me; io sarei pronto a morire per loro. E basta, basta che ci sia questa tranquillità di spirito che dopo si può fare tutto. Tu puoi farti le tue preghiere, ecc. ecc. (...) Qui occorre, permetti che te lo dica, la conversione completa all'Ideale. Sì, occorre questo. E' una conversione bella perché viene da un bel mondo a un altro bel mondo, non è mica conversione dal male, però è necessaria questa, altrimenti non... Tu con Gesù in mezzo sarai sempre Gesù che vive, perciò Gesù che prega e ottiene, Gesù che predica e converte, Gesù che va a visitare gli ammalati e li solleva; e se invece fai da te, sei anche Gesù perché sei in grazia di Dio, però poco! Non so come dire il più e il meno, ma si capisce perché un santo è pieno di Cristo; un cristiano è pieno fino a un certo punto. Ecco, così. [...] (musica).

Involontariamente, andando a cercare un testo su Gesù in mezzo, abbiamo trovato le prove che nel Movimento dei Focolari si compiono numerosi abusi spirituali. 

La persona che pone la domanda è un religioso, forse un sacerdote (Chiara gli dice "prepari una predica"), dunque ha una doppia appartenenza, sia al Focolare che al proprio ordine. Ma non è nemmeno questo a sollevare in lui una leggera traccia di critica, una leggera obiezione al pensiero di Chiara, posta con educazione ma fermezza. E' "l'esame di realtà", l'applicazione dell'Ideale nella vita quotidiana, secondo un "metodo sperimentale" affine a quello di Galileo: ha provato a mettere in pratica l'unità con i fratelli, ma gli risulta che vivere con rettitudine e coerenza la propria vita di cristiano e sacerdote sia più importante. Forse anche meno fumoso, verrebbe da dire. 

Ed ecco la lista dei possibili abusi:

Il nostro *** alla "scuola" sta iniziando a cambiare: siamo ad Incisa Valdarno, dunque negli ambienti chiusi della scuola di formazione di Loppiano. Se *** è un religioso, non deve tenere la scuola per consacrarsi, ma solo per perfezionare la propria appartenenza, come adepto, al Movimento dei Focolari. E la scuola sta funzionando sul suo coraggioso spirito critico, sta plasmando il suo cervello. 

In più riprese, Chiara ribadisce che il suo carisma è una conversione "dal cristianesimo" a qualcosa che rende ancora più vicini a Dio, quindi svaluta di fatto l'esperienza del cattolicesimo, di quella stessa Chiesa Cattolica che ha approvato i suoi Statuti, per ribadire che lei insegna una dottrina "superiore". E lo fa rigorosamente quando si trova a porte chiuse, tra gli "interni dell'Opera di Maria". 

Chiara presenta la sua spiritualità come una "fabbrica di santi", dove quindi la santità non è un dono di Dio, ma un fine perseguito volontaristicamente per creare una sorta di "Uber Cristiani", superiori ai cristiani "normali". 

Chiara descrive un episodio di "disunità" a livello decisionale, nel quale una persona manifesta palesemente di soffrire di scrupoli e paura di dissociarsi dal pensiero uniforme del gruppo. La stessa Chiara sembra stupita da quell'atteggiamento, come se lo trovasse eccessivo, come se ne fosse dispiaciuta. Ma si tratta di eccessivo perfezionismo, troppa sensibilità, o piuttosto di paura di incorrere nelle sue ire di presidentessa e fondatrice, dopo averla contraddetta? Chiara non si mette in discussione, dal momento che la persona "disunita" rientra subito nei ranghi, e tutto si risolve con "unità di pensiero". 

A ***, che nega di sentire troppo la mancanza di Gesù in mezzo, Chiara promette "Lo sentirai più tardi". Di fatto gli augura una sorta di "cammino spirituale" alla San Giovanni della Croce, caratterizzato dal "tormento". Per arrivare allo stato della libertà interiore, in una sorta di Nirvana? No: gli augura di arrivare alla dipendenza completa. "Tu non riesci più a vivere se non hai Gesù in mezzo". Non riesci più a vivere senza stare in mezzo ai focolarini? Senza dipendere dalle parole di Chiara e di chi la rappresenta? 

Perché un individuo deve farsi Nulla? Perché così è più produttivo per il sistema: "Gesù in noi" prega, "ottiene", addirittura cura meglio gli ammalati. Sicuramente seduce, con il suo perenne sorriso, con i suoi modi assertivi, con la sua arte sopraffina del love bombing. 

A questo punto non ho più nulla da raccontare e da analizzare, vorrei chiudere qui "Scomponendo Chiara" e sparire nell'inesistenza. 

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